Veicoli elettrici - mobilità - tecnologie - ambiente - energia rinnovabile. L'esaurimento delle risorse e le conseguenti ripercussioni politiche ed economiche rendono necessario ridurre la dipendenza dall'importazione di prodotti petroliferi e spingere quindi verso lo sviluppo di fonti energetiche alternative. I veicoli elettrici possono utilizzare tecnologie e risorse nel modo più efficiente.


giovedì 29 maggio 2008

Se il petrolio va a picco

Alberto Di Fazio è astrofisico teorico presso l'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), membro della Commissione Nazionale Cnr/Igbp (Programma Internazionale Geosfera-Biosfera), responsabile italiano del Progetto Igbp/Aimes (Analysis, Integration, and Modeling of the Earth System), presidente Global Dynamics Institute, accreditato presso la Conferenza delle Parti sotto la Unfccc (Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici).
Il petrolio è aumentato del 500 per cento in sei anni, mentre la produzione è di fatto stabile da tre. Cosa sta succedendo?
Non si può più fare quello che si è fatto per oltre 100 anni: pompare sempre di più moltiplicando i pozzi. Su più di 90 paesi produttori, 62 hanno raggiunto il «picco» e sono quindi in calo; quelli che non l'hanno raggiunto - come l'Arabia Saudita e altri minori - non riescono ad aumentare l'estrazione in misura sufficiente a compensare. Gli Stati uniti hanno «piccato» per primi nel 1970, dopo aver «carburato» col petrolio due guerre mondiali e un grande sviluppo economico. Il Venezuela ha piccato nel '70, così come la Libia; l'Iran nel '74. Gran Bretagna e Novegia tra il '99 e il 2001. La Russia lo aveva fatto una prima volta per motivi politici (il crollo dell'Urss), poi si è ripresa ma ha piccato di nuovo nel 2007, senza peraltro mai raggiungere il livello precedente. Di conseguenza, l'offerta è praticamente stabile - tra 86 e 87 milioni di barili al giorno (mbg) - mentre la domanda cresce rapidamente. Perciò il prezzo non può che aumentare.
Eppure le compagnie petrolifere rispondono che anni di prezzo troppo basso hanno disincentivato nuove esplorazioni.
Sono dichiarazioni di natura politica. Se ascoltiamo geologi o ingegneri che lavorano per conto di queste compagnie capiamo che c'è stato tutto il tempo - 20 o 30 anni - per cercare ancora. Ci spiegano che la tecnologia esplorativa è migliorata di un fattore 500 o 600 rispetto al 1963, quando venne raggiunto il «picco» delle scoperte. Si utilizzano satelliti, strutture a ologramma, infrarossi, cose che non ci sognavamo neppure. Negli Usa, tra il '70 e l'80, c'è stato un boom di trivellazioni, quadruplicando il numero dei pozzi. Ciò nonostante, in quella decade, la loro produzione è progressivamente calata. Non è mancata la ricerca, ma i risultati.
Sentiamo spesso di «grandi giacimenti» appena scoperti, come in Brasile o nell'Artico.
Quello in Brasile è stimato tra i 10 e i 20 miliardi di barili. E' «grande» per il Brasile, perché porterà lì ricchezza ed energia. Ma a livello mondiale, rispetto ai 1.000 miliardi di riserve dichiarate esistenti - la metà di quelle iniziali - questo giacimento sposta il «picco» di due o tre mesi. Quello sotto l'Artico non dovrebbe neppure avvicinarsi alle dimensioni di Ghawar in Arabia o di Cantarell in Messico. E in ogni caso, per poterlo sfruttare, sarebbe necessario un riscaldamento globale tale da sciogliere la calotta polare. Non proprio una cosa da augurarsi. Ci sarebbe bisogno di trovare subito, ma proprio subito, 2-300 miliardi di barili per spostare il «picco» di cinque o sei anni.
Quanto pesa il petrolio nel bilancio energetico globale? E si potrebbe sostituirlo, in modo credibile?
Il 70% del raffinato va in combustibili da trasporto (benzina, diesel, cherosene, ecc). Il 98% di questi combustibili viene dal petrolio; così come tra l'85% e il 90% dell'energia totale proviene dagli idrocarburi. Solo tra il 7 e l'8% viene dal nucleare. Il resto, pochissimo, dalle rinnovabili. Per rimpiazzare petrolio e gas naturale non c'è praticamente nulla, sulla terra. L'idrogeno non esiste in forma libera, ma va fabbricato impiegando più energia di quella resa poi disponibile. Per il carbone si parla di centinaia di anni, ma in realtà si tratta di un minerale a più bassa intensità di energia, che ne richiede molta già per l'estrazione. Il carbone realisticamente utilizzabile basterebbe per qualche decina di anni. Tra le «non rinnovabili» c'è anche l'uranio, su cui esiste una stima molto precisa di Rubbia e di David Goodstein (del Caltech): ne abbiamo per 20 anni da adesso. Usiamo 14 Terawatt di energia; a volerle fare col nucleare servirebbero 10-15.000 centrali in 20 anni. Una ogni giorno e mezzo! Anche dal punto di vista dei materiali (acciaio, cemento, ecc) è impossibile. Negli Usa ce ne sono 104 e in tutto il mondo poco più di 400. Il nucleare potrebbe essere al massimo un «ponte» a cavallo del picco del petrolio. Ma anche le rinnovabili lo sono. Per fare le pale eoliche o i pannelli solari bisogna andare a prendere l'alluminio, fare attività di miniera; e questa si fa con l'energia del petrolio, mica con pala e piccone. Ma dove sta tutto questo alluminio? Questo significa che dipendiamo dal petrolio anche per le rinnovabili.
Che cosa bisognerebbe fare, allora?
Tirare il freno a mano, conservare petrolio e gas rimanenti per fare queste benedette rinnovabili, finché è possibile. Anche la tecnologia proposta da Rubbia ha bisogno di energia da petrolio. Non possiamo fare le acciaierie con un'economia che va a legna. E nemmeno con l'energia nucleare, perché una centrale deve essere a temperatura moderata (2-300 gradi) altrimenti fonde il nocciolo. Noi potremmo concentrare quella metà di petrolio rimasta, risparmiando sui trasporti di merci voluttuarie e salvaguardando quelli «necessari». E dobbiamo tener conto che anche l'agricoltura, al 90%, dipende dal petrolio. Senza, la produzione agricola si ridurrebbe da 10 a 1.
Ma come sono conciliabili capitalismo e decrescita?
In nessuna maniera. Il capitalismo è fondato su un'equazione che è un esponenziale. Ogni incremento annuale è proporzionale a un certo coefficiente moltiplicato il capitale stesso. E' una curva che cresce sempre di più, come quella dell'interesse composto. Il capitalismo è reinvestimento e crescita. Ma non esiste un investitore che cerca di guadagnare meno di quel che investe. E quindi l'intervento pubblico sarà obbligatorio. Mi soprende che se ne cominci a rendere conto la destra, come fa Tremonti nel suo ultimo libro, dove dice apertamente che il mercato non si può più regolare da solo. Mi sorprende che non lo dica invece più la sinistra. Si capisce ormai che è in arrivo una crisi peggiore del '29, ma non si dice il perché. Questa è in realtà più grave, perché nel '29 si era partiti da una bolla speculativa temporanea. Qui avviene per un fatto naturale, geologico. Finiti petrolio, gas e carbone, nessuno ce li rimette più.
Tutto questo era già stato anticipato dal Club di Roma, addirittura nel 1972. Poi non si è fatto nulla. Quelle previsioni furono definite ad un certo punto sbagliate. Come stanno adesso le cose?
Alcuni governi, come Gran Bretagna e Usa, hanno costruito delle task force interministeriali per gettare fumo. Hanno prodotto libri per dire che non era vero, ovviamente senza alcun fondamento scientifico. Il Club prevedeva la crisi economica mondiale nel 2020-2030, il crollo della produzione agricola nello stesso periodo, il calo della produzione di greggio e gas naturale (ma non l'«esaurimento»!), e il picco della popolazione globale un po' più in là nel tempo, nel 2040-50. Sulla popolazione ci hanno preso in pieno: 6 miliardi di persone nel 2000 e così è andata. Sulla crisi industriale, mi sembra proprio che ci stiamo arrivando. Sulla produzione agricola ci siamo già: il prodotto agricolo pro capite ha cominciato a flettere nel '98, ora anche quello totale. Basta guardare i grafici da loro prodotti nel '72, nel '92 e poi ancora nel 2002 per vedere che in tutte e tre le previsioni si calcolava che le risorse nel 2000 sarebbero state consumate per un quarto e quindi, sapendo che il «picco» si colloca sulla metà, invitavano ad agire in tempo. Semmai i loro calcoli sono stati fin troppo ottimistici, visto che siamo sul «picco» già ora invece che nella terza decade di questo secolo. Loro speravano che il sistema avrebbe reagito subito alla scarsità a alle crisi locali, riallocando nella maniera più saggia le risorse. E invece vediamo che persino il protocollo di Kyoto - un puro esperimento di riduzione delle emissioni del 5% (mentre servirebbe l'80%) - è rimasto lettera morta. Il modello, infine, era superottimistico perché non prevedeva né guerreconflitti sociali di grande ampiezza. E invece, oltre quelle già avvenute o in atto, c'è una pletora di analisti che ci mostrano come altre se ne stiano preparando. E più violente delle attuali.

Qui
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7 commenti:

Anonimo ha detto...

Purtroppo c'è poca informazione da parte dei mass media su questo tema.

Anonimo ha detto...

Dunque si sapeva che finendo il petrolio questa civiltà va verso lo scontro finale secondo anche alcune profezie si va verso la terza ed ultima guerra mondiale? almeno che non si cambia tutto il sistema di vita, io avevo anche sentito parlare il ministro Tremonti che vorrebbe proporre un nuovo grande negoziato dei maggiori paesi ricchi per cambiare o rivedere magari il sistema economico mondiale, forse si questa una soluzione fattibile magari per evitare o rimandare la crisi che si annuncia imminente? magari questa soluzione sarebbe meno onerosa per ogni paese visto che ormai sarebbe molto tardi per incentivare o finanziare tutto sull'energie rinnovabili o cambiare tutti i veicoli in elettrici, anche se alla fine sarà inevitabile fare tutta questa conversione di tutto il sistema di vita fin oggi conosciuto ma ormai superato ed insostenibile.

Anonimo ha detto...

Viva l'Ottimismo!

... Un Mese fa la Spagna, in una giornata molto ventosa, ha prodotto il 40% del suo consumo elettrico solo con l'Eolico. Partiamo da qui, abbiamo ancora anni a sufficienza per programmare il nostro futuro energetico. Darci già morti adesso è da stupidi.

Anonimo ha detto...

Io però non escluderei del tutto il nucleare. Il fatto che sia possibile l'utilizzo del torio al posto dell'uranio aprirebbe nuove prospettive. E'innegabile che per costruire una centrale elettronucleare ci vogliono almeno 5 anni (.... sono un ottimista alla Scajola. Se va bene gli anni sono, mediamente, 9 o 10) e che bisogna agire da subito sul piano del risparmio energetico e sulle rinnovabili. Una centrale elettronucleare è come una quercia : se vogliamo un pò d'ombra meglio affidarsi ai pioppi per la breve scadenza, per la lunga vanno bene le quercie.

Massimo J. De Carlo ha detto...

Luca-ilgiusto,
tremonti ha cominciato a parlare di un nuovo atteggiamento qualche mese prima di essere 'ceto' che sarebbe tornato al governo con un incarico pesantissimo. Al di là di fare della dietrologia non vorrei che abbia espresso certe opinioni semplicemente per pararsi... mettere le mani avanti... non so se mi sono spiegato. Certo che il problema c'è, è enorme, e una sola persona, sia pure di governo è ben poca cosa per trovare delle soluzioni condivise. Sono pessimista.

Silvano,
quale nucleare? prima delle elezioni tutti parlavano di investire per studiare la possibilità di ricorrere al nucleare... centrali di nuova generazione... sicure ... durevoli. Adesso hanno deciso di mettere la prima pietra della prima centrale tra 5 anni cioè a fine legislatura ... guarda caso. Poi si vedrà? Poi si dovrà costruirla. Altri 5 anni? poi dovrà entrare in operatività. Altri 4/5 anni. Ne sono passti 15 di anni. Quanto uranio resterà tra 20 anni quando saranno terminate tante altre centrali nucleari nel mondo? per 15 anni, per 5 o per un anno. Le centrali nucleari col torio sono ancora sperimentali e non si sa cosa ne verrà fuori. Sarebbe meglio aspettare il torio o continuare a costrire quelle di vecchio tipo destinate a restare senza 'carburante'? Sono domande a cui ancora i filonuclearisti non hanno dato risposte chiare. Inoltre non mi aspetto risposte trasparenti sulla sicurezza delle centrali perchè è impossibile. Non sono sicure, non sappiamo dove mettere le scorie .

Anonimo ha detto...

Tutte cose che purtroppo sappiamo: peccato che il manifesto eviti di dire che il comunismo è "sviluppista" tanto quanto il liberismo.

Anonimo ha detto...

Ti suggerisco questi articoli del Guardian se mastichi l'inglese:
http://www.guardian.co.uk/business/2008/dec/15/global-oil-supply-peak-2020-prediction
http://www.guardian.co.uk/business/2008/dec/15/oil-peak-energy-iea