Il Consorzio delle batterie esauste (Cobat) recupera quasi il 100% nel 2006, è da record, di quanto immesso al consumo dall'Italia in batterie e pile al piombo, facendone il Paese leader mondiale nella raccolta di questi rifiuti pericolosi. Lo afferma il Rapporto presentato oggi dal Cobat, per un totale di 191.000 tonnellate di batterie raccolte, pari a 14,6 milioni di pezzi e circa 110 milioni di euro risparmiati sulla bilancia commerciale nazionale nell'acquisto di piombo. La raccolta pro-capite è di 3,2 kg/abitante, con un costo per i cittadini di 76 centesimi di euro per ogni nuova batteria al piombo venduta. Inoltre, in vista della nuova direttiva europea per la raccolta di tutti i tipi di pile, batterie e accumulatori elettrici, il Cobat annuncia il via di un progetto pilota nella provincia di Lecco, nell'ambito di un accordo di programma con la Regione Lombardia. L'iniziativa si occuperà del recupero di accumulatori industriali e per veicoli elettrici, batterie per telefoni cellulari, computer portatili, utensili elettrici senza fili, giocattoli e piccoli elettrodomestici di uso quotidiano, per i quali non esiste un sistema di raccolta organizzato.
Sito web COBAT
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Veicoli elettrici - mobilità - tecnologie - ambiente - energia rinnovabile. L'esaurimento delle risorse e le conseguenti ripercussioni politiche ed economiche rendono necessario ridurre la dipendenza dall'importazione di prodotti petroliferi e spingere quindi verso lo sviluppo di fonti energetiche alternative. I veicoli elettrici possono utilizzare tecnologie e risorse nel modo più efficiente.
venerdì 30 novembre 2007
giovedì 29 novembre 2007
L'idrogeno e la pizza
Non è una rivelazione dell'ultimo minuto quello che affermiamo: l'idrogeno non è una 'fonte' di energia quanto piuttosto un 'vettore' di energia. Esempio, se in dispensa ci accorgiamo che è finita la 'farina per fare il pane' non è possibile dare una risposta alle nostre necessità dicendo: "Bene, facciamo la pizza!" Oppure: "Facciamo le tagliatelle!" Il problema sta nel fatto che è finita la farina che produce il pane, la pasta per la pizza e le tagliatelle. L'idrogeno è come la pizza. Senza 'farina' cioè energia non ottengo l'idrogeno. Se la gente non ha chiara l'immagine di un mondo che si avvia verso una carenza di approvvigionamento di energia non percepirà mai che l'idrogeno non è LA SOLUZIONE ma nemmeno UNA soluzione tra le tante. Che cosa ce ne facciamo poi in definitiva dell'idrogeno? Inoltre, che vale porsi il problema se l'idrogeno sia pulito o no? E' del tutto irrilevante. Meglio l'idrogeno in un motore o simbioticamente sposatoo nella fuel cell? Tutti discorsi irrilevanti come superfluo discorrere se si debba fare la pizza quando manca la farina.
Altri post sull' idrogeno qui
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Altri post sull' idrogeno qui
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mercoledì 28 novembre 2007
Solar Impulse, volare giorno e notte senza carburante!
In un mondo che dipende dalle energie fossili, il progetto Solar Impulse è un paradosso, quasi una provocazione: esso mira a far decollare un aereo e volare autonomamente, giorno e notte, mosso unicamente da energia solare, in giro per il mondo senza carburante o inquinamento . Un obiettivo irrealizzabile senza spingere indietro gli attuali limiti tecnologici in tutti i campi . Il 12. 000 celle fotovoltaiche sono in 130 micron silicio monocristallino, selezionato per la sua capacità di coniugare leggerezza e di efficienza. La loro efficienza avrebbero potuto essere più elevati, seguendo l'esempio dei pannelli utilizzati nello spazio, ma il loro peso avrebbe penalizzato l'aereo durante il volo notturno. Con una densità di energia di 200W/kg, accumulatori necessari per il volo notturno pesare 400kg, o più di ¼ della massa totale del piano.
Sotto le ali sono quattro protuberanze, ciascuna contenente un motore, un pacco batteria al litio polimero da 70 celle, un sistema di gestione e controllo carica / scarica e temperatura. Ogni motore ha una potenza massima di 10 CV. Una scatola del cambio limiti la rotazione di ogni 3,5 metri di diametro, a doppio taglio, elica a 200-400 giri / minuto.
La questione inerente l'energia lega l'intero progetto, dalla struttura di dimensioni alle estreme peso vincoli. A mezzogiorno, ogni m2 di superficie terrestre riceve l'equivalente di 1000 Watts, o 1,3 cavalli di potenza della luce. Più di 24 ore, questo mediamente vale 250W/m2. Con 200 m2 di cellule fotovoltaiche e di un 12% in totale efficienza della catena di propulsione, i motori raggiungono non più di 8 HP o 6kW - all'incirca la potenza che avevano a disposizione i fratelli Wright nel 1903, quando hanno fatto il loro primo volo. Ed è con tale energia, ottimizzato dal pannello solare per il propulsore su cui sta lavorando il team di Solar Impulse, cercando di volare giorno e notte senza carburante!
Scarica le specifiche tecniche (PDF)
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Sotto le ali sono quattro protuberanze, ciascuna contenente un motore, un pacco batteria al litio polimero da 70 celle, un sistema di gestione e controllo carica / scarica e temperatura. Ogni motore ha una potenza massima di 10 CV. Una scatola del cambio limiti la rotazione di ogni 3,5 metri di diametro, a doppio taglio, elica a 200-400 giri / minuto.
La questione inerente l'energia lega l'intero progetto, dalla struttura di dimensioni alle estreme peso vincoli. A mezzogiorno, ogni m2 di superficie terrestre riceve l'equivalente di 1000 Watts, o 1,3 cavalli di potenza della luce. Più di 24 ore, questo mediamente vale 250W/m2. Con 200 m2 di cellule fotovoltaiche e di un 12% in totale efficienza della catena di propulsione, i motori raggiungono non più di 8 HP o 6kW - all'incirca la potenza che avevano a disposizione i fratelli Wright nel 1903, quando hanno fatto il loro primo volo. Ed è con tale energia, ottimizzato dal pannello solare per il propulsore su cui sta lavorando il team di Solar Impulse, cercando di volare giorno e notte senza carburante!
Scarica le specifiche tecniche (PDF)
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martedì 27 novembre 2007
A Viterbo il terzo scalo aereo del Lazio
Ancora non ci si è resi conto che esiste un problema energia che viene prima di tutto dal costo sempre più alto del petrolio e quindi di ogni fonte energetica destinata alla sua sostituzione. Il costo del petrolio non è dovuto alle speculazioni internazionali quanto piuttosto al fatto incontrovertibile che i pozzi di petrolio si stanno esaurendo e nuovi pozzi non riescono a sostituire la quantità non più estratta. I primi a risentire in modo drammatico della crisi energetica saranno proprio gli aerei particolarmente quelli dei voli destinati al trasporto passeggeri per turismo. Inevitabilmente scenderà il numero dei passeggeri, i voli, il traffico aereo in generale. Costruire nuovi aeroporti è uno spreco che non possiamo più permetterci.
''Comincia da ora il lavoro per determinare tempi, costi e modi delle infrastrutture necessarie - ha detto il ministro (Bianchi) - tenendo conto della sollecitazione del sindaco di Roma Veltroni a garantire la massimo l'accessibilità su ferro''. ''Entro il 2020 - ha detto il ministro - lo scalo dovrà essere in grado di assorbire sei milioni di passeggeri l'anno''. L'entrata in esercizio, secondo Bianchi, avverrà entro i prossimi tre anni. . Per il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, la priorità è quella di ridurre al massimo l'attività dello scalo di Ciampino, quindi bisogna fare il terzo scalo perché voglio chiudere Ciampino''.
Qui la notizia
''Comincia da ora il lavoro per determinare tempi, costi e modi delle infrastrutture necessarie - ha detto il ministro (Bianchi) - tenendo conto della sollecitazione del sindaco di Roma Veltroni a garantire la massimo l'accessibilità su ferro''. ''Entro il 2020 - ha detto il ministro - lo scalo dovrà essere in grado di assorbire sei milioni di passeggeri l'anno''. L'entrata in esercizio, secondo Bianchi, avverrà entro i prossimi tre anni. . Per il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, la priorità è quella di ridurre al massimo l'attività dello scalo di Ciampino, quindi bisogna fare il terzo scalo perché voglio chiudere Ciampino''.
Qui la notizia
lunedì 26 novembre 2007
Convegno ASPO-Italia 2008 a Torino
Si farà il 3 Maggio 2008 a Torino il secondo convegno nazionale di ASPO-Italia. Dopo il successo del primo convegno che si è tenuto a Firenze a Marzo del 2006, ASPO-Italia si ripresenta con un nuovo incontro il cui soggetto, energia, materie prime e ambiente, diventa sempre più importante per la situazione attuale.
Gli aumenti recenti dei prezzi del petrolio e di tutte le materie prime e le preoccupazioni sempre più forti per il clima rendono addirittura cruciale discutere dell'esaurimento delle risorse minerali e delle soluzioni che abbiamo per rimpiazzare il petrolio con altre fonti energetiche.
Come l'anno scorso, anche per ASPO-Italia 2 ci saranno ospiti internazionali e nazionali di alto livello. Il convegno avrà luogo nella sala convegni del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, in connessione con la mostra sul cambiamento climatico che si terrà in quel periodo. Ringraziamo il museo, come pure l'associazione NIMBUS per l'appoggio.
Ullteriori dettagli saranno comunicati appena disponibili.
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Gli aumenti recenti dei prezzi del petrolio e di tutte le materie prime e le preoccupazioni sempre più forti per il clima rendono addirittura cruciale discutere dell'esaurimento delle risorse minerali e delle soluzioni che abbiamo per rimpiazzare il petrolio con altre fonti energetiche.
Come l'anno scorso, anche per ASPO-Italia 2 ci saranno ospiti internazionali e nazionali di alto livello. Il convegno avrà luogo nella sala convegni del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, in connessione con la mostra sul cambiamento climatico che si terrà in quel periodo. Ringraziamo il museo, come pure l'associazione NIMBUS per l'appoggio.
Ullteriori dettagli saranno comunicati appena disponibili.
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domenica 25 novembre 2007
E' morto Ali Morteza Samsam Bakhtiari
Una triste notizia ha colpito chi conosceva direttamente o indirettamente Ali Morteza Samsam Bakhtiari. Bakhtiari è mancato nell'ottobre di quest'anno in Iran. Lasciamo al Prof. Ugo Bardi (Presidente di ASPO-Italia) e a Debora Billi (Blog Petrolio.blogosfere) il ricordo e la commemorazione.
Ali Morteza Samsam Bakhtiari: 1946-2007
E' morto Ali Bakhtiaril
Ali Bakhtiari parla di Iran - Esclusiva Petrolio
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La 500 elettrica convertita
Qui di seguito l'indirizzo del sito web The Oil Drum: Europe dove potrete leggere in inglese un articolo interessante sulla famosa realizzazione del famoso 'cinquino' nato col motore a scoppio nel '70 e tornato a nuova vita col motore elettrico all'inizio del 2007.
E' possibile anche vedere due filmati (uno è quello che abbiamo inserito ieri) che descrivono l'impresa.
The Post Peak Car
www.youtube.com/watch?v=KjIOb5m-DDU
www.youtube.com/watch?v=Ee4v7nlUM9M
See the site of the non-profit association called “Eurozev” www.eurozev.org
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E' possibile anche vedere due filmati (uno è quello che abbiamo inserito ieri) che descrivono l'impresa.
The Post Peak Car
www.youtube.com/watch?v=KjIOb5m-DDU
www.youtube.com/watch?v=Ee4v7nlUM9M
See the site of the non-profit association called “Eurozev” www.eurozev.org
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sabato 24 novembre 2007
Idrogeno per autotrazione: Regola tecnica
Ringraziamo l'Ing. Robur che ci ha segnalato il Decreto 31 agosto 2006 uscito in Gazzetta Ufficiale N. 213 del 13 Settembre 2006 dal titolo: "Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio degli impianti di distribuzione di idrogeno per autotrazione." IL MINISTRO DELL'INTERNO.
Il testo completo al seguante indirizzo:
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venerdì 23 novembre 2007
Petrolio: il prezzo sale ... ma non si sente grazie all'euro forte
La bolletta petrolifera 2007 si attesterà a «26-26,5 miliardi di euro», contro i 27,6 miliardi dello scorso anno, ha detto ieri Pasquale De Vita, presidente dell’Unione petrolifera (Up), all’agenzia Agi. «Fino a qualche tempo fa prevedevamo la bolletta abbastanza più contenuta rispetto a quella dell’anno scorso - ha aggiunto - ora prevediamo che resti ancora contenuta, grazie anche al paracadute dell’euro, ma arriveremo a 26-26,5 miliardi di euro. Tuttavia, se non ci fosse stato l’euro forte a far da paracadute, saremmo arrivati a 28-28,5 miliardi. La valuta europea ci ha così fatto risparmiare un paio di miliardi». E ieri l’euro ha dato ragione al presidente dell’Up, raggiungendo la quota record di 1,4874 contro il dollaro (per poi ripiegare), mentre il prezzo del greggio è rimasto sostanzialmente stabile, appena sotto la soglia dei cento dollari.
Continua QUI
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giovedì 22 novembre 2007
Non giochiamo con la Terra
Il Presidente dell'IPCC afferma: «Occorre una nuova etica»
«Ciò di cui abbiamo veramente bisogno è una nuova etica, che permetta a ogni essere umano di rendersi conto dell'importanza della sfida che abbiamo dinanzi e di iniziare a impegnarsi per affrontarla efficacemente modificando il proprio stile di vita e cambiando atteggiamenti e comportamenti», ha dichiarato Rajendra Pachauri, presidente del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC), in occasione della presentazione del quarto rapporto di valutazione dell'IPCC a Valencia (Spagna).
Il nuovo rapporto evidenzia il fatto che il riscaldamento globale potrebbe avere impatti imprevisti o irreversibili, tra cui lo scioglimento delle calotte di ghiaccio, con il conseguente innalzamento del livello del mare, l'estinzione delle specie e cambiamenti delle correnti oceaniche che avranno effetti a catena per la pesca, l'assorbimento del biossido di carbonio da parte degli oceani e la vegetazione terrestre.
Anche qualora lo scioglimento delle calotte di ghiaccio venisse scongiurato, l'innalzamento del livello del mare provocato dalla sola espansione termica degli oceani è ormai inevitabile, avverte il rapporto. «Si tratta di una scoperta estremamente grave, da cui si evince chiaramente che con le nostre azioni [...] abbiamo già condannato il pianeta a subire l'innalzamento del livello del mare a causa della sola espansione termica», ha affermato il dottor Pachauri, aggiungendo che, se a questo fenomeno si somma lo scioglimento delle masse di ghiaccio, «si può avere un'immagine chiara del genere di problemi che saremo probabilmente chiamati ad affrontare».
Il rapporto prende in considerazione anche eventi estremi come la siccità e le tempeste, affermando che la frequenza degli «episodi di precipitazioni intense» è aumentata nella maggior parte delle regioni, così come si è estesa anche l'area colpita dalla siccità.
Il dottor Pachauri ha inoltre sottolineato che «gli effetti dei cambiamenti climatici non saranno avvertiti in maniera uniforme». In Africa, tra i 75 e i 250 milioni di persone potrebbero essere esposti a un aumento dello stress idrico, e in alcune aree le colture pluviali potrebbero ridursi del 50%.
La situazione appare cupa anche in Asia, dove la disponibilità di acqua dolce è destinata a diminuire, mentre le aree costiere densamente popolate saranno probabilmente più esposte al rischio di inondazione. Dal canto loro, i piccoli Stati insulari di tutto il mondo sono minacciati da inondazioni, mareggiate, erosione e altri pericoli costieri.
Tuttavia, il rapporto non contiene solo previsioni pessimistiche. Come ha osservato il dottor Pachauri, «fortunatamente l'umanità ha a disposizione diverse soluzioni», tra cui figurano politiche e strumenti che i governi possono attuare per creare incentivi di mitigazione e nuove tecnologie che attualmente sono già disponibili o che saranno probabilmente commercializzate nei prossimi decenni.
È particolarmente importante creare un efficace segnale del prezzo del carbonio. «Si tratta di una scoperta importante», ha dichiarato il dottor Pachauri. «Se vogliamo intervenire, dobbiamo ovviamente associare al carbonio un prezzo che ci permetta di orientarci verso un'economia a basso contenuto di carbonio».
Il Segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon si è recentemente recato in Amazzonia e in Antartide per constatare di persona gli effetti del cambiamento climatico. Ha lodato il lavoro svolto dall'IPCC e ha definito l'ultimo rapporto «conciso e di facile comprensione».
Da Europa Cordis
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«Ciò di cui abbiamo veramente bisogno è una nuova etica, che permetta a ogni essere umano di rendersi conto dell'importanza della sfida che abbiamo dinanzi e di iniziare a impegnarsi per affrontarla efficacemente modificando il proprio stile di vita e cambiando atteggiamenti e comportamenti», ha dichiarato Rajendra Pachauri, presidente del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC), in occasione della presentazione del quarto rapporto di valutazione dell'IPCC a Valencia (Spagna).
Il nuovo rapporto evidenzia il fatto che il riscaldamento globale potrebbe avere impatti imprevisti o irreversibili, tra cui lo scioglimento delle calotte di ghiaccio, con il conseguente innalzamento del livello del mare, l'estinzione delle specie e cambiamenti delle correnti oceaniche che avranno effetti a catena per la pesca, l'assorbimento del biossido di carbonio da parte degli oceani e la vegetazione terrestre.
Anche qualora lo scioglimento delle calotte di ghiaccio venisse scongiurato, l'innalzamento del livello del mare provocato dalla sola espansione termica degli oceani è ormai inevitabile, avverte il rapporto. «Si tratta di una scoperta estremamente grave, da cui si evince chiaramente che con le nostre azioni [...] abbiamo già condannato il pianeta a subire l'innalzamento del livello del mare a causa della sola espansione termica», ha affermato il dottor Pachauri, aggiungendo che, se a questo fenomeno si somma lo scioglimento delle masse di ghiaccio, «si può avere un'immagine chiara del genere di problemi che saremo probabilmente chiamati ad affrontare».
Il rapporto prende in considerazione anche eventi estremi come la siccità e le tempeste, affermando che la frequenza degli «episodi di precipitazioni intense» è aumentata nella maggior parte delle regioni, così come si è estesa anche l'area colpita dalla siccità.
Il dottor Pachauri ha inoltre sottolineato che «gli effetti dei cambiamenti climatici non saranno avvertiti in maniera uniforme». In Africa, tra i 75 e i 250 milioni di persone potrebbero essere esposti a un aumento dello stress idrico, e in alcune aree le colture pluviali potrebbero ridursi del 50%.
La situazione appare cupa anche in Asia, dove la disponibilità di acqua dolce è destinata a diminuire, mentre le aree costiere densamente popolate saranno probabilmente più esposte al rischio di inondazione. Dal canto loro, i piccoli Stati insulari di tutto il mondo sono minacciati da inondazioni, mareggiate, erosione e altri pericoli costieri.
Tuttavia, il rapporto non contiene solo previsioni pessimistiche. Come ha osservato il dottor Pachauri, «fortunatamente l'umanità ha a disposizione diverse soluzioni», tra cui figurano politiche e strumenti che i governi possono attuare per creare incentivi di mitigazione e nuove tecnologie che attualmente sono già disponibili o che saranno probabilmente commercializzate nei prossimi decenni.
È particolarmente importante creare un efficace segnale del prezzo del carbonio. «Si tratta di una scoperta importante», ha dichiarato il dottor Pachauri. «Se vogliamo intervenire, dobbiamo ovviamente associare al carbonio un prezzo che ci permetta di orientarci verso un'economia a basso contenuto di carbonio».
Il Segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon si è recentemente recato in Amazzonia e in Antartide per constatare di persona gli effetti del cambiamento climatico. Ha lodato il lavoro svolto dall'IPCC e ha definito l'ultimo rapporto «conciso e di facile comprensione».
Da Europa Cordis
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mercoledì 21 novembre 2007
L'iceberg petrolio: nel mercato asiatico ha toccato 99,29 dollari
Nuovo record del petrolio, che negli scambi elettronici nel mercato asiatico ha toccato 99,29 dollari al barile. Il record precedente risale al 7 novembre scorso, quando il greggio toccò i 98,03 dollari.
Aggiornamento delle 11.40 ore italiane: il prezzo del petrolio Malaysiano (Tapis) ha toccato i 100,37 dollari al barile.
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Rete di idrogeno o rete elettrica ?
Abbiamo ricevuto un intervento da parte dell'Ing. Silvano Robur nello spazio dedicato ai commenti relativi ad un nostro post del 17 u.s. dal titolo "L'idrogeno, la "Banca Bassotti & Sons" e Rifkin" (cliccare sopra per leggere il post) che riteniamo utile inserirlo in prima pagina poichè mette sul tavolo della discussione argomenti molto interessanti. Ecco di seguito l'intervento dell'Ing. Robur:
Soffermiamoci sul problema di costi e di rendimenti partendo da un presupposto di base : che d'ora in avanti l'energia dovrà essere prodotta e distribuita da una rete fatta da utenti. Se volete possiamo chiamarla "produzione dal basso". Ed è il sistema che ci permette di passare da un sistema di produzione di energia centralizzata ad un sistema di produzione distribuita. Questo sistema ci permetterà di produrre, scambiare, consumare energia prodotta localmente da fonti rinnovabili.
Concentriamoci un attimo sulla rete. Di che rete vogliamo parlare ? Rete di idrogeno o rete elettrica ? Vediamo nel dettaglio le due reti :
a) Rete di idrogeno : prima di immettere idrogeno nella rete devo pensare a produrlo. E qui sono dolori. Se lo produco da energia elettrica .... come la produco l'energia elettrica ? Mi direte : da fonte rinnovabile !!! Bene !! Poi devo comprimerlo con dei compressori centrifughi spendendo altra energia per poterlo farlo viaggiare negli idrogenodotti. Questo per ridurre le perdite di pressione. E qui sono dolori. Le normali tubature di ferro si comportano come un colabrodo quando si fa passare l'idrogeno. Quindi dovremmo rivestirle di qualcosa per evitare l'effetto colabrodo.
Non è finita ! Devo pensare anche alla protezione catodica per poter preservare il tubo dalla corrosione. Quindi devo spendere energia elettrica per fare questo.
Le tubazioni poi passeranno su proprietà : quindi dovrò pensare a fare degli espropri o servitù. E qui sono denari in geometri e notai !
Poi devo pensare all'energia da spendere per riportarlo a pressioni di lavoro. Normalmente devo passare da 70 bar a 0.020 bar.
Siccome l'espansione è adiabatica (non c'è scambio di calore) il mio riduttore di pressione mi si copre di una cattedrale di ghiaccio, bella a vedersi ma deleteria nel far funzionare il riduttore tanto da bloccarlo. Mi tocca scaldare l'idrogeno con una resistenza elettrica .... a questo punto mi fermo nella descrizione perché mi stanno venendo le lacrime agli occhi. Mi sto facendo del male.
b) Rete elettrica : non dobbiamo inventarla, c'è già ! La nostra casa è alimentata a 230 V e preleva energia da una cabina dove un trasformatore preleva tensione a 20 kV. A sua volta la linea a 20 kV è connessa ad una sottostazione elettrica che è connessa alla rete nazionale in alta tensione a 380 kV. Il rendimento di trasmissione dell'energia elettrica : 90 % !!!!
Si accettano critiche !!
Un saluto a tutti !!
Silvano Robur
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Soffermiamoci sul problema di costi e di rendimenti partendo da un presupposto di base : che d'ora in avanti l'energia dovrà essere prodotta e distribuita da una rete fatta da utenti. Se volete possiamo chiamarla "produzione dal basso". Ed è il sistema che ci permette di passare da un sistema di produzione di energia centralizzata ad un sistema di produzione distribuita. Questo sistema ci permetterà di produrre, scambiare, consumare energia prodotta localmente da fonti rinnovabili.
Concentriamoci un attimo sulla rete. Di che rete vogliamo parlare ? Rete di idrogeno o rete elettrica ? Vediamo nel dettaglio le due reti :
a) Rete di idrogeno : prima di immettere idrogeno nella rete devo pensare a produrlo. E qui sono dolori. Se lo produco da energia elettrica .... come la produco l'energia elettrica ? Mi direte : da fonte rinnovabile !!! Bene !! Poi devo comprimerlo con dei compressori centrifughi spendendo altra energia per poterlo farlo viaggiare negli idrogenodotti. Questo per ridurre le perdite di pressione. E qui sono dolori. Le normali tubature di ferro si comportano come un colabrodo quando si fa passare l'idrogeno. Quindi dovremmo rivestirle di qualcosa per evitare l'effetto colabrodo.
Non è finita ! Devo pensare anche alla protezione catodica per poter preservare il tubo dalla corrosione. Quindi devo spendere energia elettrica per fare questo.
Le tubazioni poi passeranno su proprietà : quindi dovrò pensare a fare degli espropri o servitù. E qui sono denari in geometri e notai !
Poi devo pensare all'energia da spendere per riportarlo a pressioni di lavoro. Normalmente devo passare da 70 bar a 0.020 bar.
Siccome l'espansione è adiabatica (non c'è scambio di calore) il mio riduttore di pressione mi si copre di una cattedrale di ghiaccio, bella a vedersi ma deleteria nel far funzionare il riduttore tanto da bloccarlo. Mi tocca scaldare l'idrogeno con una resistenza elettrica .... a questo punto mi fermo nella descrizione perché mi stanno venendo le lacrime agli occhi. Mi sto facendo del male.
b) Rete elettrica : non dobbiamo inventarla, c'è già ! La nostra casa è alimentata a 230 V e preleva energia da una cabina dove un trasformatore preleva tensione a 20 kV. A sua volta la linea a 20 kV è connessa ad una sottostazione elettrica che è connessa alla rete nazionale in alta tensione a 380 kV. Il rendimento di trasmissione dell'energia elettrica : 90 % !!!!
Si accettano critiche !!
Un saluto a tutti !!
Silvano Robur
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martedì 20 novembre 2007
La Terra vista dalla Luna
La Terra appare piccola ma bellissima dallo spazio. L'universo appare spettatore di ciò che accade qui giù da noi, dei nostri problmi energetici, della sopravvivenza della vita sul pianeta o perlomeno della nostra civiltàcome la conosciamo oggi. Tutto potrebbe trasformarsi e scomparire nell'arco di poche decine di anni a causa dei cambiamenti climatici indotti dalle attività scellerate dell'Uomo. L'universo è spettatore, e tu?
'Earth-rise' and 'Earth-set' images were taken by the KAGUYA The onboard high definition camera of the moon explorer "KAGUYA," which is under initial functional verification, successfully acquired the world’s first high definition images of an "Earth-rise" and "Earth-set." It was also the world’s first HD images of the Earth from about 380,000 km away in space.
Image: JAXA/NHK
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'Earth-rise' and 'Earth-set' images were taken by the KAGUYA The onboard high definition camera of the moon explorer "KAGUYA," which is under initial functional verification, successfully acquired the world’s first high definition images of an "Earth-rise" and "Earth-set." It was also the world’s first HD images of the Earth from about 380,000 km away in space.
Image: JAXA/NHK
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VW concept car
Un altro modo inventato dalla VW per complicarsi la vita. Una concept car proiettata nel futuro remoto. Avrebbero potuto benissimo realizzare una vettura tutta elettrica con batterie al litio (per esempio), con la stessa percorrenza, per metterla subito su strada. Protagonista ancora una volta le famigerate fuel cell con l'altrettanto famigerato idrogeno.
Una fuel-cell idrogeno ad alta temperatura per estendere l'autonomia delle auto elettriche a batteria. E' questa l'idea applicativa per uso immediato delle fuel-cell studiata da Volkswagen con potenziali autonomie di 350 chilometri per l'alimentazione ibrida di veicoli fuel-cell+batteria. La percorrenza dell'auto con le sole batterie è di 100 km. Accanto a questo un sistema fotovoltaico sul tetto assicura 150 Watt di potenza da poter accumulare con le batterie. Il peso totale del veicolo è di 1.090 kg.
Qui
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lunedì 19 novembre 2007
I toscani col cammello diventeranno 'uomini blu'
Toscana, effetto deserto. Piogge scarse e violente, la siccità avanza. I cambiamenti climatici stanno stravolgendo il nostro territorio: la regione è a secco . Dieci per cento di precipitazioni in meno da settembre 2006 a oggi . Anno dopo anno la Toscana cambia faccia. La regione è a secco, la zona delle Crete senesi in certe stagioni assomiglia a un deserto, la Maremma è assetata, sull'arcipelago da dieci mesi si sono dimenticati cosa sia un temporale, le valli dell´Arno e della Chiana e la costa tra Livorno e Piombino sono ormai considerate aree critiche. Le temperature salgono e l´acqua scarseggia: tra settembre 2006 e maggio 2007 sono caduti in media in Toscana 705 millimetri di pioggia, 86 in meno rispetto ai dieci anni precedenti. E da gennaio a ottobre 2007 (come mostra la cartina al centro della pagina) la fascia "ad alta piovosità" è limitata alla sola Garfagnana, mentre si è estesa in modo macroscopico l´area con piovosità "inferiore a 500 millimetri di livello minimo" che copre ormai l´intera Toscana meridionale e le isole (ad eccezione di Capraia). Sulle altre zone i millimetri scendono da 1500 a 1000. La siccità provoca forti disagi, Firenze non se ne accorge ancora perché Bilancino la salva dalla sete». Non è esatto dire che piove di meno però, spiega il professore. Piove in modo diverso da prima. «Di solito nel mese di novembre sulla Toscana cadono 140 millimetri d´acqua in tutto il mese, adesso accade che la stessa quantità scenda in un solo giorno. Secondo Maracchi il suolo toscano non è soltanto assetato ma anche "stressato". «Si parla da tempo del fenomeno della desertificazione ma si tratta di un termine improprio, che in questo caso indica la combinazione del fattore climatico con quello antropico, cioè con l´uso del territorio da parte dell´uomo che evidenzia i grossi sbagli compiuti. Si costruisce troppo o male, si piantano sempre meno alberi sulle pendici andando incontro al rischio frane, si edifica nelle golene dei fiumi per ragioni economiche o speculative. Con i politici e gli amministratori toscani Maracchi non è tenero: «E´ una vita che parlo con presidenti e assessori, ripetendo quanto sia urgente fare un piano delle acque e spiegando che nelle aree urbanizzate il verde assorbe CO2 e Pm10 imprigionandolo nelle foglie. Parole al vento, tutti mi dicono di sì e poi nessuno fa niente, a parte qualche convegno. E´ un problema culturale, ci vorrebbe il coraggio di proporre un nuovo modello di economico che non incentivi la realizzazione di megacentri commerciali, il consumo fine a se stesso, l´uso smodato delle auto, l´acquisto dei condizionatori al posto di ventilatori che non inquinano l´aria. Personalmente non credo allo "sviluppo" sostenibile ma al "progresso" sostenibile».
Da La Nazione del 15 Novembre 2007
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Da La Nazione del 15 Novembre 2007
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domenica 18 novembre 2007
L'universo è ricco di idrogeno, lo andate a prendere là?
Nella foto la Nebulosa Laguna , denominata M8, nella quale si riconosce l'idrogeno come gas interstellare evidenziato dal colore rosso.
"..L'idrogeno (Hydrogen- qui in Wikipedia) è il più abbondante degli elementi chimici, che rappresenta circa il 75% della massa elementare. Le Stelle nella sequenza principale sono composte principalmente di idrogeno nel suo stato di plasma. L' idrogeno elementare è relativamente raro sulla Terra e la produzione industriale è da idrocarburi come il metano.... L'idrogeno può essere prodotto a partire da acqua utilizzando il processo di elettrolisi, ma questo processo è notevolmente più costoso attualmente in commercio rispetto la produzione dal gas naturale..."
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"..L'idrogeno (Hydrogen- qui in Wikipedia) è il più abbondante degli elementi chimici, che rappresenta circa il 75% della massa elementare. Le Stelle nella sequenza principale sono composte principalmente di idrogeno nel suo stato di plasma. L' idrogeno elementare è relativamente raro sulla Terra e la produzione industriale è da idrocarburi come il metano.... L'idrogeno può essere prodotto a partire da acqua utilizzando il processo di elettrolisi, ma questo processo è notevolmente più costoso attualmente in commercio rispetto la produzione dal gas naturale..."
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sabato 17 novembre 2007
L'idrogeno, la "Banca Bassotti & Sons" e Rifkin
Continuiamo il discorso intorno all'idrogeno, l' "economia dell'idrogeno" di Geremy Rifkin prendendo lo spunto di un interessantissimo articolo del Prof. Bardi pubblicato sul Blog di Aspo-Italia: " Rifkin: il venditore di olio di serpente". Un brano: "Rifkin parla di un'analogia fra la produzione di idrogeno e l'Internet.... L'idrogeno è un pessimo vettore energetico..." Il nostro punto di vista in merito è assolutamente contrario all'idrogeno fino al punto di affermare nettamente che non è auspicabile nessun tipo di investimento economico e di tempo per studiare le varie tecnologie che implichino l'utilizzo dell'idrogeno. Mi spiego. Parliamo di soldi, euro, piccioli, dollari, yen, dobloni e il discorso diventa più chiaro. Euro per esempio. Se guadagnassimo 10.000 euro potremmo spenderli subito per pagare un debito o toglierci uno sfizio ma, se li volessi spendere in momenti successivi, dovremmo porci la domanda in quale banca depositarli per averli in dietro al momento dovuto. Esistono due banche: la Banca Bassotti & Sons con sede in USA che dichiara di restituircene 5.400, dei 10 mila depositati) e la Electrochemical & Bros Bank che ne restituisce 8.000. Dovendo scegliere quale banca sceglieremmo? Trasposizione del discorso in termini energetici. Una batteria qualunque (la Electrochimical & Bros Bank) è più efficiente perché ti restituisce l' 80% dell'energia depositata, la migliore delle celle a combustibile idrogeno (Banca Bassotti & Sons) il 54%. Quale tecnologia di accumulo energetico è preferibile: l'idrogeno o la batteria? Non sono masochista quindi non scelgo certo l'idrogeno.
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Gratuito l'accesso per i veicoli elettrici nel centro storico di Roma, dopo Firenze
Centro storico, I Municipio approva delibera per permesso gratuito ad auto elettriche e riduzione del 50 per cento la tariffa per quelli ibridi. La delibera è arrivata in Consiglio su iniziativa della consigliera Santolini (Verdi), ma è stata sostenuta con convinzione anche da Alleanza nazionale per denunciare, con l'occasione, il 'tanto fumo e niente arrosto' che il Comune e il sindaco Veltroni attuano nelle politiche a favore dei mezzi elettrici e di una mobilità sostenibile. È incredibile infatti che l'Atac, su indicazione della Giunta comunale, avesse anche solo ipotizzato e previsto una tariffa per i mezzi elettrici".
Qui la notizia completa
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venerdì 16 novembre 2007
Tornano le Domeniche ecologiche
Il Comune di Padova, il blocco del traffico per tutti i veicoli e i ciclomotori. Durante le domeniche ecologiche possono circolare biciclette, taxi, mezzi di trasporto pubblico e di soccorso, veicoli elettrici o ibridi (motore elettrico o termico) e veicoli a gpl e a metano.
Altre date previste:
- 13 gennaio 2008
- 24 febbraio 2008
- 30 marzo 2008 (interregionale).
A Torino ritorna «domenica ecologica» il 18: dalle 10 alle 19 sarà vietata la circolazione alle auto nell’area della Ztl ambientale. Il transito sarà consentito ai taxi, ai veicoli delle Forze Armate, dell’Arpa, delle Asl e degli organi di Polizia, dei Vigili del Fuoco, dei servizi di soccorso in stato di emergenza e della protezione civile, ai veicoli elettrici o ibridi, a quelli a metano e a Gpl ed, infine, a quelli del servizio car sharing.
A Firenze le date delle Domeniche ecologiche sono programmate per il 25 Novembre e 27 Gennaio 2008.
Napoli, 18 novembre è l'ultima domenica ecologica dell'anno.
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Altre date previste:
- 13 gennaio 2008
- 24 febbraio 2008
- 30 marzo 2008 (interregionale).
A Torino ritorna «domenica ecologica» il 18: dalle 10 alle 19 sarà vietata la circolazione alle auto nell’area della Ztl ambientale. Il transito sarà consentito ai taxi, ai veicoli delle Forze Armate, dell’Arpa, delle Asl e degli organi di Polizia, dei Vigili del Fuoco, dei servizi di soccorso in stato di emergenza e della protezione civile, ai veicoli elettrici o ibridi, a quelli a metano e a Gpl ed, infine, a quelli del servizio car sharing.
A Firenze le date delle Domeniche ecologiche sono programmate per il 25 Novembre e 27 Gennaio 2008.
Napoli, 18 novembre è l'ultima domenica ecologica dell'anno.
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giovedì 15 novembre 2007
Il prof. Bardi parla di uranio a “Caterpillar”
Nella trasmissione “Caterpillar” (seconda parte) su RadioRai2 del 7 novembre si è parlato di vari argomenti. In collegamento telefonico con il prof. Ugo Bardi (docente presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze e presidente di ASPOITALIA, sezione italiana dell’associazione ASPO) si è trattato l'argomento delle scorte di uranio. Il prof. Ugo Bardi dichiara che la disponibilità nel tempo di uranio dipende dall’uso che se ne farà e sulla base dei consumi attuali ci sarebbero scorte di uranio solo per qualche altro decennio.E se si volesse aumentare la quota di energia prodotta dal nucleare ai livelli di quella prodotta ora dal petrolio, le scorte di uranio sarebbero sufficienti solo per qualche anno.
Per ascoltare l'intervento cliccare QUI
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mercoledì 14 novembre 2007
“HELIPLAT” un progetto per complicarsi la vita con l'idrogeno
Il progetto ha ottime premesse, ma poi si perde nel complicare cose semplici e ben più efficaci. Un aereo con celle fotovoltaiche che alimentano motori elettrici. Ottimo, geniale. Stona del tutto l'idea di inserire le fuel cell alimentate ad idrogeno per i voli notturni. Molto più semplice, efficiente, sicuro, leggero, affidabile, economico, friendly ecc. se avessero avuto l'opzione delle batterie ricaricabili magari al litio. Forse l'idea l'hanno anche avuta, ma non il coraggio di presentare un progetto dove non comparisse la parola magica, pass par tout per aprire tutte le porte dei finanziamenti (e degli sprechi) : idrogeno.
Qui la riportiamo in breve notizia:
Il politecnico di Torino coordina il progetto ENFICA – FC, acronimo di Environmental Friendly Inter City Aircraft powered by Fuel Cells. Si tratta di un aereo con propulsione a celle combustibili, che concretizza la possibilità di volare riducendo l’inquinamento acustico e abbattendo le emissioni di CO2. Il progetto, grazie anche ad un finanziamento europeo che copre i tre quarti dei 4 milioni e mezzo necessari per portare avanti la sperimentazione, Heliplat solcherà i cieli entro la fine del 2009.Il progetto si articola in due fasi: la prima prevede la modifica di un aeroplano biposto per realizzare un velivolo senza pilota, completamente alimentato ad energia solare e celle combustibili ad idrogeno: due grandi bombole di idrogeno producono elettricità e fanno girare il motore a bordo. Nella seconda fase sono previsti i test in volo, per analizzare i vantaggi tecnici e i miglioramenti di rendimento del prototipo e, in parallelo, nello svolgimento di approfondimenti di tipo teorico per sviluppare questa tecnologia e renderla applicabile sugli aerei destinati al trasporto passeggeri. Tecnicamente Heliplat ha un’autonomia di volo di quattro mesi senza soste, un costo orario tra gli 800 e i mille euro contro gli attuali seimila, alimentazione diurna con i pannelli solari e notturna con le celle a combustibile, un’altezza di volo intorno ai 20 mila metri. Le caratteristiche dell’apparecchio si prestano a compiti di sorveglianza, vigilanza contro l’immigrazione clandestina nell’area mediterranea, monitoraggio delle aree considerate a rischio incendio, controllo delle condizioni meteorologiche. Il tutto garantendo emissioni sotto la soglia di tolleranza.
qui
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Qui la riportiamo in breve notizia:
Il politecnico di Torino coordina il progetto ENFICA – FC, acronimo di Environmental Friendly Inter City Aircraft powered by Fuel Cells. Si tratta di un aereo con propulsione a celle combustibili, che concretizza la possibilità di volare riducendo l’inquinamento acustico e abbattendo le emissioni di CO2. Il progetto, grazie anche ad un finanziamento europeo che copre i tre quarti dei 4 milioni e mezzo necessari per portare avanti la sperimentazione, Heliplat solcherà i cieli entro la fine del 2009.Il progetto si articola in due fasi: la prima prevede la modifica di un aeroplano biposto per realizzare un velivolo senza pilota, completamente alimentato ad energia solare e celle combustibili ad idrogeno: due grandi bombole di idrogeno producono elettricità e fanno girare il motore a bordo. Nella seconda fase sono previsti i test in volo, per analizzare i vantaggi tecnici e i miglioramenti di rendimento del prototipo e, in parallelo, nello svolgimento di approfondimenti di tipo teorico per sviluppare questa tecnologia e renderla applicabile sugli aerei destinati al trasporto passeggeri. Tecnicamente Heliplat ha un’autonomia di volo di quattro mesi senza soste, un costo orario tra gli 800 e i mille euro contro gli attuali seimila, alimentazione diurna con i pannelli solari e notturna con le celle a combustibile, un’altezza di volo intorno ai 20 mila metri. Le caratteristiche dell’apparecchio si prestano a compiti di sorveglianza, vigilanza contro l’immigrazione clandestina nell’area mediterranea, monitoraggio delle aree considerate a rischio incendio, controllo delle condizioni meteorologiche. Il tutto garantendo emissioni sotto la soglia di tolleranza.
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Sorrento: lotta alle emissioni inquinanti e sonore, solo veicoli elettrici?
La lotta alle emissioni sia inquinanti che sonore si realizza solo utilizzando veicoli elettrici. Qui di seguito uno stralcio un articolo on line:
La lotta al rumore e il miglioramento della qualità dell’aria si attua facendo rispettare i limiti di legge previsti per le emissioni sonore, chiudendo al traffico progressivamente la Città e regolamentando l’accesso alle altre zone consentendolo solo ai veicoli elettrici e a quelli conformi alle recenti direttive Euro 3\4 e imponendogli impianti per ridurre i fumi e le emissioni moleste . Invece di migliorare abbiamo fatto dei passi indietro: il piano di zonizzazione acustica, è divento obsoleto, senza mai essere utilizzato e c’è il fondato sospetto che il livello di rumorosità sia aumentato; il trasporto dei turisti per il Porto, che doveva avvenire con mezzi elettrici, viene effettuato con mezzi di tutti i tipi , vecchi e nuovi , talvolta riportanti scritte ecologiche che aggiungono al danno la beffa .
Estratto on line qui
La lotta al rumore e il miglioramento della qualità dell’aria si attua facendo rispettare i limiti di legge previsti per le emissioni sonore, chiudendo al traffico progressivamente la Città e regolamentando l’accesso alle altre zone consentendolo solo ai veicoli elettrici e a quelli conformi alle recenti direttive Euro 3\4 e imponendogli impianti per ridurre i fumi e le emissioni moleste . Invece di migliorare abbiamo fatto dei passi indietro: il piano di zonizzazione acustica, è divento obsoleto, senza mai essere utilizzato e c’è il fondato sospetto che il livello di rumorosità sia aumentato; il trasporto dei turisti per il Porto, che doveva avvenire con mezzi elettrici, viene effettuato con mezzi di tutti i tipi , vecchi e nuovi , talvolta riportanti scritte ecologiche che aggiungono al danno la beffa .
Estratto on line qui
martedì 13 novembre 2007
Il grande, profondo, nero baratro delinea il suo vasto orlo.
Concimi, forti rincari in vista già registrati nel mercato internazionale. Perchè? C'entra ancora una volta il petrolio! Tutta quello che ci riguarda dai trasporti ai generi alimentari, dai beni di consumo alla tecnologia riguarda ilpetrolio, Quando il petrolio comincia a non essere sufficientemente rifornito come prima entra in crisi tutto il sistema. Il picco del petrolio è avvenuto l'anno passato, secondo i più attenti osservatori, ASPO e altri, quindi adesso sentiamo pesantemente le conseguenze! I nodi vengono al pettine, ahi noi!.
Aumenti «Il perfosfato semplice, oltre 7,0 euro / q.le cloruro e solfato potassico oltre 9,0 euro /q.le, mentre gli azotati volano al di sopra dei 5 euro / q.le. Le motivazioni sono dovute essenzialmente all'irrigidimento della domanda mondiale a seguito della veloce crescita agricola dei Paesi emergenti (Cina, India, Brasile ecc..), che muovono enormi volumi di prodotti. Dall'altra parte l'offerta non riesce ad aumentare perché le miniere estrattive di rocce fosfatiche e soprattutto le miniere potassiche sono rimaste quelle degli anni passati, non avendo mai nessuno investito su questi prodotti poveri a basso margine di guadagno" I prezzi che si vanno registrando spingono gli imprenditori a cerca di migliorare l'efficienza delle estrazioni e a individuare possibilità di avviamento di nuove miniere: tuttavia questo processo richiede tempo, circa due o tre anni. Per questo gli analisti ritengono che l'attuale trend al rialzo continui e che comunque i prezzi dei fertilizzanti rimangano sostenuti per almeno un biennio. Ma la vera ragione è questa: Un discorso diverso, ma che conduce sempre allo stesso risultato va invece fatto per i fertilizzanti azotati, che sono legati al prezzo dell'ammoniaca e al costo dell'energia per produrla: gli attuali livelli del prezzo del petrolio - che ormai ha toccato quota 100 dollari al barile - lasciano ipotizzare che gli aumenti proseguiranno nei prossimi mesi. "In questo quadro - aggiunge Mazzoni - va anche collocato il continuo rialzo dei noli marittimi (notaME-petrolio!): le materie prime sono tutte di importazione (notaME-petrolio!) ed il Bdi, l'indice che misura l'andamento dei prezzi dei noli marittimi, è più che raddoppiato negli ultimi 10 mesi" (notaME-petrolio!).
Qui
Aumenti «Il perfosfato semplice, oltre 7,0 euro / q.le cloruro e solfato potassico oltre 9,0 euro /q.le, mentre gli azotati volano al di sopra dei 5 euro / q.le. Le motivazioni sono dovute essenzialmente all'irrigidimento della domanda mondiale a seguito della veloce crescita agricola dei Paesi emergenti (Cina, India, Brasile ecc..), che muovono enormi volumi di prodotti. Dall'altra parte l'offerta non riesce ad aumentare perché le miniere estrattive di rocce fosfatiche e soprattutto le miniere potassiche sono rimaste quelle degli anni passati, non avendo mai nessuno investito su questi prodotti poveri a basso margine di guadagno" I prezzi che si vanno registrando spingono gli imprenditori a cerca di migliorare l'efficienza delle estrazioni e a individuare possibilità di avviamento di nuove miniere: tuttavia questo processo richiede tempo, circa due o tre anni. Per questo gli analisti ritengono che l'attuale trend al rialzo continui e che comunque i prezzi dei fertilizzanti rimangano sostenuti per almeno un biennio. Ma la vera ragione è questa: Un discorso diverso, ma che conduce sempre allo stesso risultato va invece fatto per i fertilizzanti azotati, che sono legati al prezzo dell'ammoniaca e al costo dell'energia per produrla: gli attuali livelli del prezzo del petrolio - che ormai ha toccato quota 100 dollari al barile - lasciano ipotizzare che gli aumenti proseguiranno nei prossimi mesi. "In questo quadro - aggiunge Mazzoni - va anche collocato il continuo rialzo dei noli marittimi (notaME-petrolio!): le materie prime sono tutte di importazione (notaME-petrolio!) ed il Bdi, l'indice che misura l'andamento dei prezzi dei noli marittimi, è più che raddoppiato negli ultimi 10 mesi" (notaME-petrolio!).
Qui
lunedì 12 novembre 2007
Rapporto britannico: si alle auto elettriche, no a biocarburanti e idrogeno
I proprietari delle grandi auto ad alte emissioni, tra cui le berline familiari, potrebbero essere penalizzati da una tassa di 1.000 sterline (1.500 euro circa) che graverebbe sugli axtracosti al momento dell'acquisto.
Il passaggio è previsto tra una serie di coraggiose proposte di revisione della commissione governativa circa le auto a basse emissione di carbonio, report di febbraio. il Times rivela che le raccomandazioni del report sono suscettibili di includere superiore accise e una tassa per l'acquisto delle auto più grandi.
Al contrario possono essere elargite sovvenzioni ai conducenti che vogliono optare per auto più rispettose dell'ambiente. Alcune organizzazioni motoristiche hanno attaccato i piani, con il RAC (associazione degli automobilisti britannici) insistendo sul fatto che per le famiglie numerose una più grande automobile è una necessità, non un lusso. La professoressa Julia King, vice cancelliere della Aston University, che dirige la revisione, ritiene che le auto elettriche alimentate da batterie ricaricabili siano l'opzione migliore. Ha ammesso che i ministri potrebbero trovare politicamente difficile l'adozione di tutte le sue proposte, ha aggiunto, ma ci devono essere un mix di incentivi e sanzioni.
Comportamento del consumatore
"Abbiamo bisogno di entrambi: bastone e carota", è scritto nelle carte. "Nella scelta delle auto, il prezzo è di assoluto primario rilievo nella lista. Livelli di aumenti di £ 1.000 (1.500 euro circa) a £ 1.500 (2.200 euro circa ) sembrano avere un grande effetto sul comportamento del consumatore.La professoressa King vuole anche concentrarsi sulle modalità di influenzare l'acquisto di autovetture aziendali, che rappresentano più della metà delle vendite di nuove auto. Le proposte derivanti dalla revisione nascono dalla volontà di ridurre nei prossimi 10 anni di almeno il 30 % le emissioni il biossido di carbonio che, in media, emettono le auto per il miglio. I produttori di auto possono ottenere anche incentivi per accelerare l'introduzione di veicoli elettrici o ibridi con un motore a benzina e un motore elettrico.
La professoressa King raccomanda il passaggio a vetture elettriche alimentato da batterie che possono essere ricaricate durante la notte. Ella ritiene che i biocarburanti sono causa della accelerazione della deforestazione e spingono in alto i prezzi dei generi alimentari, mentre l'idrogeno è problematico come carburante, perché è di difficile produzione e di trasporto ed ha elevate emissioni di anidride carbonica.
Le associazioni automobilistiche dichiarano che una politica generale sulle grandi auto è reputata indiscriminata. "Quando si presenta una politica che è punitiva piuttosto che incentivante, purtroppo si coinvolgono le persone che hanno un legittimo diritto di essere alla guida di tali veicoli". Coloro che acquistano grandi vetture versano già più VAT (IVA) e imposte sui carburanti. Un portavoce del Tesoro ha affermato: "La relazione della professoressa King non è prevista la discussione fino al prossimo anno. Successivamente il governo prenderà in considerazione le sue raccomandazioni sui potenziali miglioramenti tecnologici".
Qui
Il passaggio è previsto tra una serie di coraggiose proposte di revisione della commissione governativa circa le auto a basse emissione di carbonio, report di febbraio. il Times rivela che le raccomandazioni del report sono suscettibili di includere superiore accise e una tassa per l'acquisto delle auto più grandi.
Al contrario possono essere elargite sovvenzioni ai conducenti che vogliono optare per auto più rispettose dell'ambiente. Alcune organizzazioni motoristiche hanno attaccato i piani, con il RAC (associazione degli automobilisti britannici) insistendo sul fatto che per le famiglie numerose una più grande automobile è una necessità, non un lusso. La professoressa Julia King, vice cancelliere della Aston University, che dirige la revisione, ritiene che le auto elettriche alimentate da batterie ricaricabili siano l'opzione migliore. Ha ammesso che i ministri potrebbero trovare politicamente difficile l'adozione di tutte le sue proposte, ha aggiunto, ma ci devono essere un mix di incentivi e sanzioni.
Comportamento del consumatore
"Abbiamo bisogno di entrambi: bastone e carota", è scritto nelle carte. "Nella scelta delle auto, il prezzo è di assoluto primario rilievo nella lista. Livelli di aumenti di £ 1.000 (1.500 euro circa) a £ 1.500 (2.200 euro circa ) sembrano avere un grande effetto sul comportamento del consumatore.La professoressa King vuole anche concentrarsi sulle modalità di influenzare l'acquisto di autovetture aziendali, che rappresentano più della metà delle vendite di nuove auto. Le proposte derivanti dalla revisione nascono dalla volontà di ridurre nei prossimi 10 anni di almeno il 30 % le emissioni il biossido di carbonio che, in media, emettono le auto per il miglio. I produttori di auto possono ottenere anche incentivi per accelerare l'introduzione di veicoli elettrici o ibridi con un motore a benzina e un motore elettrico.
La professoressa King raccomanda il passaggio a vetture elettriche alimentato da batterie che possono essere ricaricate durante la notte. Ella ritiene che i biocarburanti sono causa della accelerazione della deforestazione e spingono in alto i prezzi dei generi alimentari, mentre l'idrogeno è problematico come carburante, perché è di difficile produzione e di trasporto ed ha elevate emissioni di anidride carbonica.
Le associazioni automobilistiche dichiarano che una politica generale sulle grandi auto è reputata indiscriminata. "Quando si presenta una politica che è punitiva piuttosto che incentivante, purtroppo si coinvolgono le persone che hanno un legittimo diritto di essere alla guida di tali veicoli". Coloro che acquistano grandi vetture versano già più VAT (IVA) e imposte sui carburanti. Un portavoce del Tesoro ha affermato: "La relazione della professoressa King non è prevista la discussione fino al prossimo anno. Successivamente il governo prenderà in considerazione le sue raccomandazioni sui potenziali miglioramenti tecnologici".
Qui
domenica 11 novembre 2007
L'autobus elettrico italiano per le strade d'Europa
Ecco in anteprima un'immagine e le caratteristiche.
Veicolo Elettrico minibus urbano
CARATTERISTICHE TECNICHE
Motore asincrono trifase
30KW nominali (60KW di picco)
Opzionale:
70KW nominali (140KW di picco)
Accumulatori
• Litio
• Sodio - Nichel - Cloruro
Velocità, accelerazione e recupero energia in frenata programmabili secondo richiesta
Trazione anteriore
Optional: Sistema di controllo remoto
CARATTERISTICHE ULTERIORI
Porta laterale: doppia anta a soffietto
Porta posteriore: optional
ALLESTIMENTO
Numero posti 35 + 1 conducente
Condizionatore (a richiesta)
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Veicolo Elettrico minibus urbano
CARATTERISTICHE TECNICHE
Motore asincrono trifase
30KW nominali (60KW di picco)
Opzionale:
70KW nominali (140KW di picco)
Accumulatori
• Litio
• Sodio - Nichel - Cloruro
Velocità, accelerazione e recupero energia in frenata programmabili secondo richiesta
Trazione anteriore
Optional: Sistema di controllo remoto
CARATTERISTICHE ULTERIORI
Porta laterale: doppia anta a soffietto
Porta posteriore: optional
ALLESTIMENTO
Numero posti 35 + 1 conducente
Condizionatore (a richiesta)
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sabato 10 novembre 2007
Schwarzy fa causa a Washington e all'EPA
Schwarzenegger ha dichiarato 'guerra' al Governo Federale, contro il quale la sua California, di cui è il governatore, ha annunciato una causa rivendicando il diritto di uno stato di imporre propri limiti alle emissioni di gas inquinanti ad automobili e camion, in mancanza di un'azione da parte del governo centrale. Altri 11 Stati hanno già seguito l’esempio californiano ed hanno varato programmi per combattere il riscaldamento globale, ed altri 5 stanno valutando legislazioni in questo senso. L’eventuale via libera dal governo federale alla California, avrebbe quindi un effetto a catena in tutto il Paese. Durante una conferenza a Sacramento il Governatore repubblicano ha annunciato che lo Stato ha presentato alla corte distrettuale di Washington D.C. un ricorso contro l'Epa (agenzia per la protezione ambientale del governo federale) per non aver ancora dato la sua autorizzazione alla richiesta presentata quasi due anni fa dalla California. Ha aggiunto che il nostro futuro dipende dall'azione che intraprenderemo immediatamente contro il riscaldamento globale e che la qualità dell’aria che respiriamo, la nostra salute ed il nostro ambiente sono troppo importanti per rimandare ancora e non è solo il popolo della California che sta aspettando, anche gli altri che vogliono seguire il nostro esempio non possono farlo senza il permesso federale.
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venerdì 9 novembre 2007
Alt, un momento! Perchè l'auto ibrida?
Abbiamo dato un'occhiata alla brochure della Lexus (qui la brochure in formato PDF) l'auto ibrida d'alta gamma della Toyota. Sorpresa! Le emissioni CO2 nel ciclo combinato sono di 192 gr/km. Ricordiamo che la UE ha preso una decisione ad ottobre di quest'anno sui nuovi limiti per le emissioni di CO2. Il Parlamento Europeo ha votato a larga maggioranza il nuovo limite di 125 g/km di CO2 (il vecchio era 130), ma ha deciso anche di concedere alle Case una proroga di tre anni: l'adeguamento dovrà avvenire entro il 2015. prendiamo atto che la Ue è più incline ad ascoltare le 'ragioni' dei costruttori automobilistici che quelle dei cittadini che reclamano a favore della propria salute e quella del pianeta.
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I problemi irrisolti del nucleare a vent’anni dal referendum (2) - Gli incidenti
Gli incidenti nucleari negli ultimi 50 anni
La storia del nucleare nel mondo, civile o militare che sia, è costellata da una miriade di incidenti ed esplosioni sperimentali che costituiscono ancora oggi la prima e più importante prova della sua pericolosità non solo per l'uomo, ma per l’intero pianeta.
I settori nei quali si sono verificati incidenti nella storia di questa tecnologia sono sostanzialmente tre: le applicazioni militari, energetiche e sanitarie (che per la verità rappresentano, da questo punto di vista, un ambito assai marginale).
Tra gli anni ‘50 e gli anni ‘80, solo per ricordare qualche dato, si verificano oltre un centinaio di incidenti nucleari, venti dei quali molto gravi. Sul versante militare si tratta soprattutto di sottomarini e portaerei che affondano nel Pacifico, nell'Atlantico e nel Mediterraneo portando con sé nelle profondità del mare decine di siluri e testate nucleari, mentre sul versante civile la storia dell’industria elettronucleare registra a sua volta una non irrilevante serie di eventi accidentali.
E’ il caso di sottolineare che per quanto riguarda le applicazioni civili la maggior parte degli incidenti ha riguardato i paesi tecnologicamente meno evoluti; ciò non fa tuttavia venir meno l’esigenza di predisporre, nei paesi “nucleari”, impianti, tecnologie e strumenti adeguati, sia per evitare il verificarsi di incidenti di questa natura, sia per fronteggiare i rischi dovuti al commercio illegale di materiale radioattivo. Il tentativo di operare una classificazione completa di questo genere di eventi è impresa ardua: spesso gli incidenti minori sono stati coperti dal segreto militare, o non sono mai balzati alle cronache perché semplicemente non sono stati resi di pubblico dominio, come tentarono di fare le autorità sovietiche (inutilmente, data la gravità dell’episodio) all’indomani della catastrofe del 1986.
Alcuni fatti sono emersi soltanto dopo la fine della guerra fredda, ma solo la completa apertura degli archivi consentirà una visione precisa di quanto è successo negli ultimi decenni.
La lista “nera”, quindi, si presume molto più lunga di quella che viene qui presentata, mentre sulle conseguenze degli incidenti manca ancora oggi un dato ufficiale che consideri, non solo le morti, ma anche l'impatto sulla salute dei cittadini nel lungo periodo. Nella cronologia che segue e che non ha la pretesa di essere completa, sono stati omessi numerosi piccoli episodi occorsi in Europa negli ultimi vent’anni. In alcuni casi, accanto alla località segnalata, viene riportato l’indice di gravità dell’incidente secondo la classificazione Ines33.
10 marzo 1956 - Mar Mediterraneo. Un bombardiere B-47 precipita nel Mediterraneo con a bordo due capsule di materiale fissile per la realizzazione di bombe nucleari.
27 luglio 1956 - Gran Bretagna. Un bombardiere B-47 in Gran Bretagna slitta sulla pista e va a colpire un deposito contenente sei bombe nucleari.
7 ottobre 1957 -Sellafield (Gran Bretagna) (scala Ines 5). Nel complesso nucleare di Windscale in Gran Bretagna, dove si produce plutonio per scopi militari, un incendio nel nocciolo di un reattore a gas-grafite (GCR) genera una nube radioattiva imponente. I principali materiali rilasciati sono gli isotopi radioattivi di xenon, iodio, cesio e polonio.
La nube attraversa l'Europa intera. Sono stati ufficializzati soltanto 300 morti per cause ricondotte all'incidente (malattie, leucemie, tumori) ma il dato potrebbe essere sottostimato.
Settembre 1957 - Kyshtym (Unione Sovietica) (scala Ines 6). In una fabbrica di armi nucleari negli Urali, una cisterna contenente scorie radioattive prende fuoco ed esplode, contaminando migliaia di chilometri quadrati di terreno con una nube di 20 milioni di curie. Il rilascio esterno di radioattività avviene a seguito di un malfunzionamento del sistema di refrigerazione di una vasca di immagazzinamento di prodotti di fissione ad alta attività. Vengono esposte alle radiazioni circa 270mila persone. Si stimano per le conseguenze dell’incidente oltre 100 morti.
3 gennaio 1961 – Idaho Falls (USA). A seguito di un incidente in un reattore sperimentale di Idaho Falls negli Stati Uniti, muoiono tre tecnici.
4 luglio 1961 – URSS. La fuoriuscita di radiazioni per un guasto al sistema di controllo di uno dei due reattori di un sommergibile atomico sovietico provoca la morte del capitano e di sette membri dell’equipaggio.
5 dicembre 1965 – Isole Ryukyu (Giappone). Un jet militare americano A-4E con a bordo una bomba all’idrogeno B-43 scivola in mare da una portaerei statunitense vicino alle isole giapponesi Ryukyu.
5 ottobre 1966 – Detroit (USA). Il nucleo di un reattore sperimentale situato in un impianto vicino a Detroit si surriscalda a causa di un guasto al sistema di raffreddamento.
17 gennaio 1966 – Palomares (Spagna). Un B-52 statunitense con quattro bombe all’idrogeno B-28 entra in collisione con un aereo cisterna durante il rifornimento in volo. I due aerei precipitano e tre bombe a idrogeno (bombe H) cadono nei pressi di Palomares, mentre la quarta cade in mare. L’esplosivo di due delle tre bombe, a contatto col suolo, detona spargendo su una vasta area plutonio e altro materiale radioattivo. In tre mesi vengono raccolte 1.400 tonnellate di terra e vegetazione radioattiva che vengono portate negli Stati Uniti. Mentre i militari statunitensi sono forniti di tute protettive, gli spagnoli continuano a vivere tranquillamente e a coltivare i terreni. Un monitoraggio effettuato nel 1988 su 714 abitanti ha rivelato in 124 di loro una concentrazione di plutonio nelle urine di gran lunga superiore ai livelli normali.
10 marzo 1968 – Oceano Pacifico. Il sottomarino K-219 affonda nel Pacifico. A bordo ha tre missili nucleari e due siluri a testata nucleare.
27 maggio 1968 – Oceano Atlantico. Un sottomarino statunitense con a bordo due siluri a testata nucleare affonda nell’Atlantico.
21 agosto 1968 – Groenlandia. Un B-52 statunitense precipita in Groenlandia. Tre bombe all’idrogeno che si trovavano a bordo esplodono e 400 grammi di plutonio-239 si disperdono nell'ambiente. L’area viene successivamente bonificata da oltre 500 uomini inviati dalla Danimarca e da 200 militari statunitensi. Nei venti anni successivi, 100 dei danesi che avevano partecipato all’intervento si ammalano di cancro, altri di gravi malattie tra cui la sterilità.
17 ottobre 1969 – San Laurent (Francia). Un errore nelle procedure adottate per la gestione del combustibile provoca una fusione parziale a un reattore nucleare raffreddato a gas.
12 aprile 1970 – Oceano Atlantico. Il sottomarino sovietico K-8 affonda nell’Atlantico con a bordo due reattori e due siluri a testata nucleare.
Aprile 1973 – Isole Hawaii (USA). Fuga radioattiva nel sottomarino statunitense Guardfish alle Hawaii. Cinque marinai dell’equipaggio vengono contaminati dalle radiazioni.
1974 – Mar Caspio. Fonti di stampa segnalano un’esplosione in un impianto atomico sovietico a Shevchenko, nel Mar Caspio.
Inverno 1974/75 – Leningrado (URSS). Una serie di incidenti viene segnalata nell’inverno tra il 1974 e il 1975 presso la centrale nucleare di Leningrado, in Unione Sovietica. Tre morti accertati.
22 novembre 1975 – Mare Mediterraneo. Una portaerei e un incrociatore americani entrano in collisione nel Mediterraneo a causa del mare agitato. Come in altri casi non è accertata, ma probabile, la fuoriuscita di materiale nucleare in seguito all’incidente.
7 dicembre 1975 – Lubmin (Repubblica Democratica Tedesca). Un cortocircuito nell’impianto della Centrale di Lubmin, sul litorale baltico nella Germania Orientale, provoca una parziale fusione del nucleo del reattore.
28 marzo 1979 - Three Mile Island (Harrisburgh, Usa) (scala Ines 5). Il surriscaldamento di un reattore, a seguito della rottura di una pompa nell’impianto di raffreddamento, provoca la parziale fusione del nucleo rilasciando nell'atmosfera gas radioattivi pari a 15mila terabequerel (TBq). Vengono evacuate 3.500 persone.
7 agosto 1979 – Tennessee (USA). La fuoriuscita di uranio arricchito da una installazione nucleare segreta provoca la contaminazione di oltre 1.000 persone. Vengono registrati nella popolazione valori di radioattività fino a cinque volte superiori alla norma.
Agosto 1979 – Erwin (USA). Oltre 1.000 persone vengono contaminate a seguito di una fuga radioattiva in un centro di ricerca nucleare, fino ad allora rimasto segreto, a Erwin, negli Stati Uniti.
Marzo 1981 – Tsuruga (Giappone). 280 persone vengono contaminate a causa di una fuga di residui radioattivi nella centrale di Tsuruga, in Giappone. Un mese dopo le autorità comunicano che 45 operai sono stati esposti a radioattività nel corso delle operazioni per la riparazione della centrale.
Novembre 1983 – Sellafield (Gran Bretagna). Lo scarico di liquidi radioattivi nel Mare d’Irlanda provoca la reazione di cittadini ed ecologisti, che sollecitano la chiusura della centrale nucleare di Sellafield, in Gran Bretagna.
10 agosto 1985 – URSS. Un'esplosione devasta il sottomarino atomico sovietico Shkotovo-22: muoiono dieci membri dell’equipaggio esposti alle radiazioni.
6 gennaio 1986 – Oklahoma (USA). Un operaio muore e altri 100 restano contaminati a seguito di un incidente che si sviluppa in una centrale atomica in Oklahoma, negli Stati Uniti.
26 aprile 1986 - Cernobyl (Ucraina) (scala Ines 7). L'incidente nucleare in assoluto più grave di cui si abbia notizia. Il surriscaldamento provoca la fusione del nucleo del reattore e l'esplosione del vapore radioattivo, che sotto forma di una nube pari a un miliardo di miliardi di Bequerel si disperde nell'aria. Centinaia di migliaia di persone, soprattutto nella vicina Bielorussia, sono costrette a lasciare i territori contaminati. L'intera Europa viene esposta alla nube radioattiva e per milioni di cittadini europei aumenta il rischio di contrarre tumori e leucemia. Non esistono ancora oggi dati ufficiali
e definitivi sui decessi ricollegabili alla tragedia.
6 ottobre 1986 – Oceano Atlantico. Il sottomarino K-219 affonda nell’Atlantico con 34 testate nucleari a bordo.
Febbraio 1991 – Mihama (Giappone). La centrale riversa in mare 20 tonnellate di acqua altamente radioattiva
24 marzo 1992 – San Pietroburgo (Russia). A seguito della perdita di pressione nell’impianto di Sosnovy Bor nei pressi di San Pietroburgo, fuoriescono e si disperdono in atmosfera iodio e gas radioattivi.
Novembre 1992 – Forbach (Francia). Un grave incidente nucleare causa la contaminazione radioattiva di tre operai. I dirigenti dell’impianto vengono accusati l’anno successivo di non aver approntato le misure di sicurezza previste.
13 febbraio 1993 – Sellafield (Gran Bretagna). Fuga radioattiva nell'impianto di riprocessamento di Sellafield. La densità massima di radionuclidi dello iodio consentita viene superata di oltre tre volte.
17 febbraio 1993 - Barsebaeck (Danimarca). Uno dei reattori della centrale di Barsebaeck viene temporaneamente fermato a causa della fuoriuscita accidentale di vapore radioattivo.
Aprile 1993 – Siberia (Russia). Un incendio nel complesso chimico di Tomsk-7 colpisce un serbatoio di uranio. Risultano contaminati circa 1.000 ettari di terreno. La nube radioattiva si dirige verso zone disabitate.
23 marzo 1994 – Biblis (Germania). Centrale nucleare di Biblis: una falla nel circuito primario di un reattore fa uscire liquido altamente contaminato.
28 giugno 1994 – Petropavlosk (Russia). Fuga di materiale radioattivo nella baia di Seldevaia a causa della rottura di un deposito a Petropavlosk. Settembre 1995 – Kola (Mare di Barents). L'energia elettrica della centrale di Kola viene staccata per morosità e vanno fuori uso i sistemi di raffreddamento. Incidente solo sfiorato, grazie all'intervento del comandante della base.
Novembre 1995 – Cernobyl (Ucraina) (scala Ines 3). Un'avaria al sistema di raffreddamento del reattore n.1 di Cernobyl causa un incidente nel quale la radioattività si disperde e contamina gli operai impegnati nella manutenzione.
8 dicembre 1995 – Monju (Giappone). Due tonnellate di sodio liquido e altro materiale radioattivo fuoriescono dal reattore nucleare prototipo di Monju nella prefettura di Fukui a causa di un malfunzionamento al sistema di raffreddamento. L’impianto è costituito da un reattore autofertilizzante a neutroni veloci FBR.
Febbraio 1996 – Dimitrovgrad (Federazione Russa). Un addetto causa la rottura della valvola di sicurezza di uno dei reattori del centro di ricerche atomiche di Dimitrovgrad. Fuoriesce una nube radioattiva contenente soprattutto radionuclidi di manganese.
Marzo 1997 – Tokaimura (Giappone). Un incendio e un’esplosione nel reattore nucleare nell'impianto di ritrattamento nucleare di Tokaimura contamina almeno 35 operai.
Giugno 1997 – Arzamas (Russia). Un incidente nel centro ricerche di Arzamas porta i materiali radioattivi sull'orlo di una reazione a catena. Si sviluppa una nube radioattiva a seguito della quale muore il responsabile dell’esperimento.
Luglio 1997 – La Hague (Francia). Il comune di Amburgo denuncia presenza di radioattività nell'acqua scaricata nella Manica dall'impianto di trattamento francese di La Hague. La Francia smentisce, ma il presidente della Commissione di controllo si dimette.
Settembre 1997 – Urali (Russia). Sugli Urali si scontrano un trattore e un camion che trasporta isotopi radioattivi. Da due container fuoriesce liquido pericoloso contenente iridio 192 e cobalto 60. Nell’area la radioattività sviluppata è 25 volte superiore al limite consentito.
1 maggio 1998 – Catena delle Alpi. Le autorità di controllo francesi scoprono elevati livelli di contaminazione da cesio 137 sulle Alpi, causati dal passaggio di rottami ferrosi provenienti dall'Europa dell'Est.
30 settembre 1999 - Tokaimura (Giappone) (scala Ines 4). Un incidente in una fabbrica di combustibile nucleare attiva una reazione a catena incontrollata. Viene accertato che si tratta di un errore umano: due operai hanno trattato materiali radioattivi in contenitori non idonei. Tre persone muoiono all'istante, mentre altre 439, di cui 119 in modo grave, vengono esposte alle radiazioni. Vengono ricoverati in 600 ed evacuati 320mila abitanti della zona.
4 ottobre 1999 – Wolsong (Corea del Sud). Una fuoriuscita di acqua pesante durante lavori di manutenzione della Centrale di Wolsong causa l’esposizione alle radiazioni di 22 operai impiegati presso l'impianto.
5 ottobre 1999 – Centrale di Loviisa (Finlandia). Viene segnalata una perdita di idrogeno nell'impianto di Loviisa, sulla costa Finlandese. Secondo i tecnici della centrale c’è stato un pericolo di incendio e perdite. La situazione, secondo gli addetti, è rimasta comunque sotto controllo.
8 ottobre 1999 - Rokkasho (Giappone). Una piccola quantità di materiale radioattivo fuoriesce da un deposito di scorie a Rokkasho, nella prefettura giapponese di Aomori. Le radiazioni provengono da due fusti arrivati dalla centrale nucleare di Ekushima.
20 ottobre 1999 – Superphenix (Francia). Un incidente tecnico ritarda lo smantellamento del reattore a neutroni rapidi Superphenix di Creys-Malville (Isere), nel Sud-Ovest della Francia. Nell'operazione di scarico del reattore un inconveniente tecnico a una puleggia per l'estrazione delle cartucce di combustibile arresta la fase di scarico del materiale radioattivo.
18 novembre 1999 – Torness (Scozia) Un Tornado della Raf in esercitazione precipita in mare di fronte alla centrale nucleare di Torness in Scozia a meno di ottocento metri dall’impianto. Un grave incidente è sfiorato per un soffio.
13 dicembre 1999 – Zaporozhe (Ucraina). Il primo dei sei reattori nucleari della centrale ucraina di Zaporozhe viene fermato per il malfunzionamento dei uno dei segnalatori di eccessiva pressione.
5 gennaio 2000 – Blayais (Francia) (scala Ines 2). Una tempesta provoca un incidente alla centrale di Blayais, nella Gironda, dove due dei quattro reattori vengono fermati. L’acqua invade alcuni locali della centrale: danneggiati pompe e circuiti importanti.
27 gennaio 2000 – Giappone. Un incidente a una installazione per il riprocessamento dell’uranio in Giappone provoca livelli di radiazione 15 volte superiori alla norma in un raggio di circa 1,2 miglia. Funzionari locali segnalano che almeno 21 persone sono state esposte alle radiazioni.
15 febbraio 2000 – Indian Point (USA). Una piccola quantità di vapore radioattivo fuoriesce dal reattore Indian Point 2 vicino alla cittadina di Buchanan sul fiume Hudson, località a circa 70 chilometri da New York. La perdita di gas radioattivo costringe la società che gestisce l’impianto a chiudere la centrale e a dichiarare lo stato di allerta. La
perdita è di circa mezzo metro cubo di vapori radioattivi.
10 aprile 2003 – Paks (Ungheria) (scala Ines 3). L’unità numero 2 del sito nucleare di Paks (costituito da quattro reattori è l’unico in Ungheria a 115 chilometri da Budapest) subisce il surriscaldamento e la distruzione di trenta barre di combustibile altamente radioattive. Solo un complesso intervento di raffreddamento scongiura il pericolo di
un’esplosione nucleare, limitata ma incontrollata con gravi conseguenze per l’area intorno a Paks.
17 ottobre 2003 – Arcipelago de La Maddalena (Italia). Sfiorato incidente nucleare: il sottomarino americano Hartford s’incaglia nella Secca dei Monaci a poche miglia dalla base di La Maddalena dove solo l’abilità del comandante riesce a portare in porto il mezzo avariato. Il licenziamento di alcuni militari induce a pensare che il rischio corso non sia stato risibile.
9 agosto 2004 – Mihama (Giappone). Nel reattore numero 3 nell’impianto di Mihama, 350 chilometri a ovest di Tokyo, una falla provoca la fuoriuscita di vapore ad alta pressione che raggiunge i 270 gradi provoca quattro morti tra gli operai. Altri sette lavoratori vengono ricoverati in fin di vita. E’ l’incidente più tragico nella storia nucleare del Giappone. La centrale viene chiusa.
9 agosto 2004 – Shimane (Giappone). Scoppia un incendio nel settore di smaltimento delle scorie in una centrale nella prefettura di Shimane.
9 agosto 2004 – Ekushima-Daini (Giappone). L’impianto viene fermato per una perdita d’acqua dal generatore.
Aprile 2005 – Sellafield (Gran Bretagna). Viene denunciata la fuoriuscita di oltre 83mila litri di liquido radioattivo in 10 mesi a causa di una crepatura nelle condotte e di una serie di errori tecnici.
Maggio 2006 – Laboratori Enea di Casaccia (Italia). Fuoriuscita di plutonio, ammessa solo quattro mesi dopo, che ha contaminato sei persone addette allo smantellamento degli impianti.
Maggio 2006 – Mihama (Giappone). Ennesimo incidente con fuga di 400 litri di acqua radioattiva nella ex centrale nucleare di Mihama.
26 luglio 2006 – Oskarshamn (Svezia) (scala Ines 2). Corto circuito nell’impianto elettrico della centrale a 250 chilometri a sud di Stoccolma per cui due dei quattro generatori di riserva non sono stati in grado di accendersi. Vengono testate tutte le centrali nucleari del Paese e quella di Forsmark viene spenta.
7 ottobre 2006 – Kozlodui (Bulgaria). Viene intercettato un livello di radioattività venti volte superiore ai limiti consentiti e le verifiche portano a scoprire una falla in una tubazione ad alta pressione. La centrale, che sorge nei pressi del Danubio, scampa a una gravissima avaria. Secondo la stampa locale la direzione cerca di nascondere l’accaduto e di minimizzarlo nel rapporto all’Agenzia nazionale dell’Energia Atomica.
28 giugno 2007 – Kruemmel (Germania). Scoppia un incendio nella centrale nucleare di Krummel, nel nord della Germania vicino ad Amburgo. Le fiamme raggiungono la struttura che ospita il reattore e si rende necessario fermare l’attività dell’impianto. In pochi mesi si verificano avarie anche nelle centrali di Forsmark, Ringhals e Brunsbuttel.
Secondo il rapporto 2006 del ministero federale dell'Ambiente, l'impianto di Kruemmel è il più soggetto a piccoli incidenti tra le 17 centrali. Stando ai piani di uscita dal nucleare, fissati in una legge del 2002, il reattore dovrebbe essere spento al più tardi nel 2015.
16 luglio 2007 – Kashiwazaki (Giappone). La centrale nucleare di Kashiwazaki-Kariwa, la più grande del mondo che fornisce elettricità a 20 milioni di abitanti, viene chiusa in seguito ai danneggiamenti provocati dal terremoto. L’Agenzia di controllo delle attività nucleari giapponesi ammette una serie di fughe radioattive dall’impianto, ma precisa che si tratta di iodio fuoriuscito dal una valvola di scarico. Il direttore generale dell’AIEA, Mohammed El Baradei, dice che il sisma: "è stato più forte di quello per cui la centrale era stata progettata". Il terremoto provoca un grosso incendio in un trasformatore elettrico, la fuoriuscita di 1.200 litri di acqua radioattiva che si riversano nel Mar del Giappone e una cinquantina di altri incidenti. Si teme che la faglia sismica attiva passi proprio sotto la centrale. Ma il pericolo per la salute dell’uomo e per l’ambiente legato alla radioattività non è solo da imputare agli incidenti: non dobbiamo dimenticare infatti che tra il 1945 e il 1991 sono state effettuate 2.024 esplosioni sperimentali34, la maggior parte delle quali segrete. In tutti questi casi i primi a essere esposti sono i militari impegnati nelle operazioni, oltre naturalmente ai civili che, a loro insaputa, sono stati raggiunti delle radiazioni. Solo in anni recenti è stato possibile valutare, almeno in parte, l’entità delle emissioni radioattive dagli impianti militari e le conseguenze sanitarie sulle popolazioni. Se i primi a testare la tecnologia nucleare sono gli Stati Uniti (negli 1950 possedevano circa 370 testate atomiche contro le 5 dei sovietici), è pur vero che negli anni seguenti alla seconda guerra mondiale tutte le potenze nucleari effettuano esperimenti volti a realizzare armi più potenti e sofisticate e che sullo scenario internazionale si affacciano, oltre agli USA e all’URSS, altre potenze dotate delle potenti armi atomiche. Di sicuro sappiamo che in Kazakistan, tra il 1949 e il 1989, vengono effettuate 459 esplosioni nucleari per una potenza complessiva equivalente a 1.100 bombe come quella di Hiroshima. Negli Stati Uniti nell’ottobre 1994 una commissione d'inchiesta rivela esperimenti nucleari effettuati dal 1944 al 1974 su 23mila pazienti utilizzati come cavie. Dalla fine della Seconda Guerra mondiale le sperimentazioni sono continue e solo nel 1963, dopo ben 528 esplosioni nell’atmosfera, Stati Uniti, URSS e Gran Bretagna firmano il trattato per la parziale messa al bando dei test. Ma intanto la radioattività si è sparsa nell’atmosfera: i soli test nel deserto del Nevada tra il 1951 e il 1963 rilasciano 12 miliardi di curie, una radioattività equivalente a 148 volte quella provocata dalla catastrofe di Cernobyl. Ma già nel 1965, dopo soli due anni dalla firma del primo accordo di non proliferazione nucleare, apparati militari statunitensi testano la pericolosità dell’atomo producendo una nube radioattiva di bassa intensità che si espande sui cieli di Los Angeles, interessando un’area abitata da 15 milioni di persone. Gli esperimenti francesi ordinati dal presidente Jacques Chirac tra il settembre del 1995 e il gennaio 1996 a Mururoa, il piccolo atollo della Polinesia francese nel Pacifico, hanno mostrato all’opinione pubblica come le sperimentazioni in campo nucleare siano proseguite fino ad anni recenti.
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La storia del nucleare nel mondo, civile o militare che sia, è costellata da una miriade di incidenti ed esplosioni sperimentali che costituiscono ancora oggi la prima e più importante prova della sua pericolosità non solo per l'uomo, ma per l’intero pianeta.
I settori nei quali si sono verificati incidenti nella storia di questa tecnologia sono sostanzialmente tre: le applicazioni militari, energetiche e sanitarie (che per la verità rappresentano, da questo punto di vista, un ambito assai marginale).
Tra gli anni ‘50 e gli anni ‘80, solo per ricordare qualche dato, si verificano oltre un centinaio di incidenti nucleari, venti dei quali molto gravi. Sul versante militare si tratta soprattutto di sottomarini e portaerei che affondano nel Pacifico, nell'Atlantico e nel Mediterraneo portando con sé nelle profondità del mare decine di siluri e testate nucleari, mentre sul versante civile la storia dell’industria elettronucleare registra a sua volta una non irrilevante serie di eventi accidentali.
E’ il caso di sottolineare che per quanto riguarda le applicazioni civili la maggior parte degli incidenti ha riguardato i paesi tecnologicamente meno evoluti; ciò non fa tuttavia venir meno l’esigenza di predisporre, nei paesi “nucleari”, impianti, tecnologie e strumenti adeguati, sia per evitare il verificarsi di incidenti di questa natura, sia per fronteggiare i rischi dovuti al commercio illegale di materiale radioattivo. Il tentativo di operare una classificazione completa di questo genere di eventi è impresa ardua: spesso gli incidenti minori sono stati coperti dal segreto militare, o non sono mai balzati alle cronache perché semplicemente non sono stati resi di pubblico dominio, come tentarono di fare le autorità sovietiche (inutilmente, data la gravità dell’episodio) all’indomani della catastrofe del 1986.
Alcuni fatti sono emersi soltanto dopo la fine della guerra fredda, ma solo la completa apertura degli archivi consentirà una visione precisa di quanto è successo negli ultimi decenni.
La lista “nera”, quindi, si presume molto più lunga di quella che viene qui presentata, mentre sulle conseguenze degli incidenti manca ancora oggi un dato ufficiale che consideri, non solo le morti, ma anche l'impatto sulla salute dei cittadini nel lungo periodo. Nella cronologia che segue e che non ha la pretesa di essere completa, sono stati omessi numerosi piccoli episodi occorsi in Europa negli ultimi vent’anni. In alcuni casi, accanto alla località segnalata, viene riportato l’indice di gravità dell’incidente secondo la classificazione Ines33.
10 marzo 1956 - Mar Mediterraneo. Un bombardiere B-47 precipita nel Mediterraneo con a bordo due capsule di materiale fissile per la realizzazione di bombe nucleari.
27 luglio 1956 - Gran Bretagna. Un bombardiere B-47 in Gran Bretagna slitta sulla pista e va a colpire un deposito contenente sei bombe nucleari.
7 ottobre 1957 -Sellafield (Gran Bretagna) (scala Ines 5). Nel complesso nucleare di Windscale in Gran Bretagna, dove si produce plutonio per scopi militari, un incendio nel nocciolo di un reattore a gas-grafite (GCR) genera una nube radioattiva imponente. I principali materiali rilasciati sono gli isotopi radioattivi di xenon, iodio, cesio e polonio.
La nube attraversa l'Europa intera. Sono stati ufficializzati soltanto 300 morti per cause ricondotte all'incidente (malattie, leucemie, tumori) ma il dato potrebbe essere sottostimato.
Settembre 1957 - Kyshtym (Unione Sovietica) (scala Ines 6). In una fabbrica di armi nucleari negli Urali, una cisterna contenente scorie radioattive prende fuoco ed esplode, contaminando migliaia di chilometri quadrati di terreno con una nube di 20 milioni di curie. Il rilascio esterno di radioattività avviene a seguito di un malfunzionamento del sistema di refrigerazione di una vasca di immagazzinamento di prodotti di fissione ad alta attività. Vengono esposte alle radiazioni circa 270mila persone. Si stimano per le conseguenze dell’incidente oltre 100 morti.
3 gennaio 1961 – Idaho Falls (USA). A seguito di un incidente in un reattore sperimentale di Idaho Falls negli Stati Uniti, muoiono tre tecnici.
4 luglio 1961 – URSS. La fuoriuscita di radiazioni per un guasto al sistema di controllo di uno dei due reattori di un sommergibile atomico sovietico provoca la morte del capitano e di sette membri dell’equipaggio.
5 dicembre 1965 – Isole Ryukyu (Giappone). Un jet militare americano A-4E con a bordo una bomba all’idrogeno B-43 scivola in mare da una portaerei statunitense vicino alle isole giapponesi Ryukyu.
5 ottobre 1966 – Detroit (USA). Il nucleo di un reattore sperimentale situato in un impianto vicino a Detroit si surriscalda a causa di un guasto al sistema di raffreddamento.
17 gennaio 1966 – Palomares (Spagna). Un B-52 statunitense con quattro bombe all’idrogeno B-28 entra in collisione con un aereo cisterna durante il rifornimento in volo. I due aerei precipitano e tre bombe a idrogeno (bombe H) cadono nei pressi di Palomares, mentre la quarta cade in mare. L’esplosivo di due delle tre bombe, a contatto col suolo, detona spargendo su una vasta area plutonio e altro materiale radioattivo. In tre mesi vengono raccolte 1.400 tonnellate di terra e vegetazione radioattiva che vengono portate negli Stati Uniti. Mentre i militari statunitensi sono forniti di tute protettive, gli spagnoli continuano a vivere tranquillamente e a coltivare i terreni. Un monitoraggio effettuato nel 1988 su 714 abitanti ha rivelato in 124 di loro una concentrazione di plutonio nelle urine di gran lunga superiore ai livelli normali.
10 marzo 1968 – Oceano Pacifico. Il sottomarino K-219 affonda nel Pacifico. A bordo ha tre missili nucleari e due siluri a testata nucleare.
27 maggio 1968 – Oceano Atlantico. Un sottomarino statunitense con a bordo due siluri a testata nucleare affonda nell’Atlantico.
21 agosto 1968 – Groenlandia. Un B-52 statunitense precipita in Groenlandia. Tre bombe all’idrogeno che si trovavano a bordo esplodono e 400 grammi di plutonio-239 si disperdono nell'ambiente. L’area viene successivamente bonificata da oltre 500 uomini inviati dalla Danimarca e da 200 militari statunitensi. Nei venti anni successivi, 100 dei danesi che avevano partecipato all’intervento si ammalano di cancro, altri di gravi malattie tra cui la sterilità.
17 ottobre 1969 – San Laurent (Francia). Un errore nelle procedure adottate per la gestione del combustibile provoca una fusione parziale a un reattore nucleare raffreddato a gas.
12 aprile 1970 – Oceano Atlantico. Il sottomarino sovietico K-8 affonda nell’Atlantico con a bordo due reattori e due siluri a testata nucleare.
Aprile 1973 – Isole Hawaii (USA). Fuga radioattiva nel sottomarino statunitense Guardfish alle Hawaii. Cinque marinai dell’equipaggio vengono contaminati dalle radiazioni.
1974 – Mar Caspio. Fonti di stampa segnalano un’esplosione in un impianto atomico sovietico a Shevchenko, nel Mar Caspio.
Inverno 1974/75 – Leningrado (URSS). Una serie di incidenti viene segnalata nell’inverno tra il 1974 e il 1975 presso la centrale nucleare di Leningrado, in Unione Sovietica. Tre morti accertati.
22 novembre 1975 – Mare Mediterraneo. Una portaerei e un incrociatore americani entrano in collisione nel Mediterraneo a causa del mare agitato. Come in altri casi non è accertata, ma probabile, la fuoriuscita di materiale nucleare in seguito all’incidente.
7 dicembre 1975 – Lubmin (Repubblica Democratica Tedesca). Un cortocircuito nell’impianto della Centrale di Lubmin, sul litorale baltico nella Germania Orientale, provoca una parziale fusione del nucleo del reattore.
28 marzo 1979 - Three Mile Island (Harrisburgh, Usa) (scala Ines 5). Il surriscaldamento di un reattore, a seguito della rottura di una pompa nell’impianto di raffreddamento, provoca la parziale fusione del nucleo rilasciando nell'atmosfera gas radioattivi pari a 15mila terabequerel (TBq). Vengono evacuate 3.500 persone.
7 agosto 1979 – Tennessee (USA). La fuoriuscita di uranio arricchito da una installazione nucleare segreta provoca la contaminazione di oltre 1.000 persone. Vengono registrati nella popolazione valori di radioattività fino a cinque volte superiori alla norma.
Agosto 1979 – Erwin (USA). Oltre 1.000 persone vengono contaminate a seguito di una fuga radioattiva in un centro di ricerca nucleare, fino ad allora rimasto segreto, a Erwin, negli Stati Uniti.
Marzo 1981 – Tsuruga (Giappone). 280 persone vengono contaminate a causa di una fuga di residui radioattivi nella centrale di Tsuruga, in Giappone. Un mese dopo le autorità comunicano che 45 operai sono stati esposti a radioattività nel corso delle operazioni per la riparazione della centrale.
Novembre 1983 – Sellafield (Gran Bretagna). Lo scarico di liquidi radioattivi nel Mare d’Irlanda provoca la reazione di cittadini ed ecologisti, che sollecitano la chiusura della centrale nucleare di Sellafield, in Gran Bretagna.
10 agosto 1985 – URSS. Un'esplosione devasta il sottomarino atomico sovietico Shkotovo-22: muoiono dieci membri dell’equipaggio esposti alle radiazioni.
6 gennaio 1986 – Oklahoma (USA). Un operaio muore e altri 100 restano contaminati a seguito di un incidente che si sviluppa in una centrale atomica in Oklahoma, negli Stati Uniti.
26 aprile 1986 - Cernobyl (Ucraina) (scala Ines 7). L'incidente nucleare in assoluto più grave di cui si abbia notizia. Il surriscaldamento provoca la fusione del nucleo del reattore e l'esplosione del vapore radioattivo, che sotto forma di una nube pari a un miliardo di miliardi di Bequerel si disperde nell'aria. Centinaia di migliaia di persone, soprattutto nella vicina Bielorussia, sono costrette a lasciare i territori contaminati. L'intera Europa viene esposta alla nube radioattiva e per milioni di cittadini europei aumenta il rischio di contrarre tumori e leucemia. Non esistono ancora oggi dati ufficiali
e definitivi sui decessi ricollegabili alla tragedia.
6 ottobre 1986 – Oceano Atlantico. Il sottomarino K-219 affonda nell’Atlantico con 34 testate nucleari a bordo.
Febbraio 1991 – Mihama (Giappone). La centrale riversa in mare 20 tonnellate di acqua altamente radioattiva
24 marzo 1992 – San Pietroburgo (Russia). A seguito della perdita di pressione nell’impianto di Sosnovy Bor nei pressi di San Pietroburgo, fuoriescono e si disperdono in atmosfera iodio e gas radioattivi.
Novembre 1992 – Forbach (Francia). Un grave incidente nucleare causa la contaminazione radioattiva di tre operai. I dirigenti dell’impianto vengono accusati l’anno successivo di non aver approntato le misure di sicurezza previste.
13 febbraio 1993 – Sellafield (Gran Bretagna). Fuga radioattiva nell'impianto di riprocessamento di Sellafield. La densità massima di radionuclidi dello iodio consentita viene superata di oltre tre volte.
17 febbraio 1993 - Barsebaeck (Danimarca). Uno dei reattori della centrale di Barsebaeck viene temporaneamente fermato a causa della fuoriuscita accidentale di vapore radioattivo.
Aprile 1993 – Siberia (Russia). Un incendio nel complesso chimico di Tomsk-7 colpisce un serbatoio di uranio. Risultano contaminati circa 1.000 ettari di terreno. La nube radioattiva si dirige verso zone disabitate.
23 marzo 1994 – Biblis (Germania). Centrale nucleare di Biblis: una falla nel circuito primario di un reattore fa uscire liquido altamente contaminato.
28 giugno 1994 – Petropavlosk (Russia). Fuga di materiale radioattivo nella baia di Seldevaia a causa della rottura di un deposito a Petropavlosk. Settembre 1995 – Kola (Mare di Barents). L'energia elettrica della centrale di Kola viene staccata per morosità e vanno fuori uso i sistemi di raffreddamento. Incidente solo sfiorato, grazie all'intervento del comandante della base.
Novembre 1995 – Cernobyl (Ucraina) (scala Ines 3). Un'avaria al sistema di raffreddamento del reattore n.1 di Cernobyl causa un incidente nel quale la radioattività si disperde e contamina gli operai impegnati nella manutenzione.
8 dicembre 1995 – Monju (Giappone). Due tonnellate di sodio liquido e altro materiale radioattivo fuoriescono dal reattore nucleare prototipo di Monju nella prefettura di Fukui a causa di un malfunzionamento al sistema di raffreddamento. L’impianto è costituito da un reattore autofertilizzante a neutroni veloci FBR.
Febbraio 1996 – Dimitrovgrad (Federazione Russa). Un addetto causa la rottura della valvola di sicurezza di uno dei reattori del centro di ricerche atomiche di Dimitrovgrad. Fuoriesce una nube radioattiva contenente soprattutto radionuclidi di manganese.
Marzo 1997 – Tokaimura (Giappone). Un incendio e un’esplosione nel reattore nucleare nell'impianto di ritrattamento nucleare di Tokaimura contamina almeno 35 operai.
Giugno 1997 – Arzamas (Russia). Un incidente nel centro ricerche di Arzamas porta i materiali radioattivi sull'orlo di una reazione a catena. Si sviluppa una nube radioattiva a seguito della quale muore il responsabile dell’esperimento.
Luglio 1997 – La Hague (Francia). Il comune di Amburgo denuncia presenza di radioattività nell'acqua scaricata nella Manica dall'impianto di trattamento francese di La Hague. La Francia smentisce, ma il presidente della Commissione di controllo si dimette.
Settembre 1997 – Urali (Russia). Sugli Urali si scontrano un trattore e un camion che trasporta isotopi radioattivi. Da due container fuoriesce liquido pericoloso contenente iridio 192 e cobalto 60. Nell’area la radioattività sviluppata è 25 volte superiore al limite consentito.
1 maggio 1998 – Catena delle Alpi. Le autorità di controllo francesi scoprono elevati livelli di contaminazione da cesio 137 sulle Alpi, causati dal passaggio di rottami ferrosi provenienti dall'Europa dell'Est.
30 settembre 1999 - Tokaimura (Giappone) (scala Ines 4). Un incidente in una fabbrica di combustibile nucleare attiva una reazione a catena incontrollata. Viene accertato che si tratta di un errore umano: due operai hanno trattato materiali radioattivi in contenitori non idonei. Tre persone muoiono all'istante, mentre altre 439, di cui 119 in modo grave, vengono esposte alle radiazioni. Vengono ricoverati in 600 ed evacuati 320mila abitanti della zona.
4 ottobre 1999 – Wolsong (Corea del Sud). Una fuoriuscita di acqua pesante durante lavori di manutenzione della Centrale di Wolsong causa l’esposizione alle radiazioni di 22 operai impiegati presso l'impianto.
5 ottobre 1999 – Centrale di Loviisa (Finlandia). Viene segnalata una perdita di idrogeno nell'impianto di Loviisa, sulla costa Finlandese. Secondo i tecnici della centrale c’è stato un pericolo di incendio e perdite. La situazione, secondo gli addetti, è rimasta comunque sotto controllo.
8 ottobre 1999 - Rokkasho (Giappone). Una piccola quantità di materiale radioattivo fuoriesce da un deposito di scorie a Rokkasho, nella prefettura giapponese di Aomori. Le radiazioni provengono da due fusti arrivati dalla centrale nucleare di Ekushima.
20 ottobre 1999 – Superphenix (Francia). Un incidente tecnico ritarda lo smantellamento del reattore a neutroni rapidi Superphenix di Creys-Malville (Isere), nel Sud-Ovest della Francia. Nell'operazione di scarico del reattore un inconveniente tecnico a una puleggia per l'estrazione delle cartucce di combustibile arresta la fase di scarico del materiale radioattivo.
18 novembre 1999 – Torness (Scozia) Un Tornado della Raf in esercitazione precipita in mare di fronte alla centrale nucleare di Torness in Scozia a meno di ottocento metri dall’impianto. Un grave incidente è sfiorato per un soffio.
13 dicembre 1999 – Zaporozhe (Ucraina). Il primo dei sei reattori nucleari della centrale ucraina di Zaporozhe viene fermato per il malfunzionamento dei uno dei segnalatori di eccessiva pressione.
5 gennaio 2000 – Blayais (Francia) (scala Ines 2). Una tempesta provoca un incidente alla centrale di Blayais, nella Gironda, dove due dei quattro reattori vengono fermati. L’acqua invade alcuni locali della centrale: danneggiati pompe e circuiti importanti.
27 gennaio 2000 – Giappone. Un incidente a una installazione per il riprocessamento dell’uranio in Giappone provoca livelli di radiazione 15 volte superiori alla norma in un raggio di circa 1,2 miglia. Funzionari locali segnalano che almeno 21 persone sono state esposte alle radiazioni.
15 febbraio 2000 – Indian Point (USA). Una piccola quantità di vapore radioattivo fuoriesce dal reattore Indian Point 2 vicino alla cittadina di Buchanan sul fiume Hudson, località a circa 70 chilometri da New York. La perdita di gas radioattivo costringe la società che gestisce l’impianto a chiudere la centrale e a dichiarare lo stato di allerta. La
perdita è di circa mezzo metro cubo di vapori radioattivi.
10 aprile 2003 – Paks (Ungheria) (scala Ines 3). L’unità numero 2 del sito nucleare di Paks (costituito da quattro reattori è l’unico in Ungheria a 115 chilometri da Budapest) subisce il surriscaldamento e la distruzione di trenta barre di combustibile altamente radioattive. Solo un complesso intervento di raffreddamento scongiura il pericolo di
un’esplosione nucleare, limitata ma incontrollata con gravi conseguenze per l’area intorno a Paks.
17 ottobre 2003 – Arcipelago de La Maddalena (Italia). Sfiorato incidente nucleare: il sottomarino americano Hartford s’incaglia nella Secca dei Monaci a poche miglia dalla base di La Maddalena dove solo l’abilità del comandante riesce a portare in porto il mezzo avariato. Il licenziamento di alcuni militari induce a pensare che il rischio corso non sia stato risibile.
9 agosto 2004 – Mihama (Giappone). Nel reattore numero 3 nell’impianto di Mihama, 350 chilometri a ovest di Tokyo, una falla provoca la fuoriuscita di vapore ad alta pressione che raggiunge i 270 gradi provoca quattro morti tra gli operai. Altri sette lavoratori vengono ricoverati in fin di vita. E’ l’incidente più tragico nella storia nucleare del Giappone. La centrale viene chiusa.
9 agosto 2004 – Shimane (Giappone). Scoppia un incendio nel settore di smaltimento delle scorie in una centrale nella prefettura di Shimane.
9 agosto 2004 – Ekushima-Daini (Giappone). L’impianto viene fermato per una perdita d’acqua dal generatore.
Aprile 2005 – Sellafield (Gran Bretagna). Viene denunciata la fuoriuscita di oltre 83mila litri di liquido radioattivo in 10 mesi a causa di una crepatura nelle condotte e di una serie di errori tecnici.
Maggio 2006 – Laboratori Enea di Casaccia (Italia). Fuoriuscita di plutonio, ammessa solo quattro mesi dopo, che ha contaminato sei persone addette allo smantellamento degli impianti.
Maggio 2006 – Mihama (Giappone). Ennesimo incidente con fuga di 400 litri di acqua radioattiva nella ex centrale nucleare di Mihama.
26 luglio 2006 – Oskarshamn (Svezia) (scala Ines 2). Corto circuito nell’impianto elettrico della centrale a 250 chilometri a sud di Stoccolma per cui due dei quattro generatori di riserva non sono stati in grado di accendersi. Vengono testate tutte le centrali nucleari del Paese e quella di Forsmark viene spenta.
7 ottobre 2006 – Kozlodui (Bulgaria). Viene intercettato un livello di radioattività venti volte superiore ai limiti consentiti e le verifiche portano a scoprire una falla in una tubazione ad alta pressione. La centrale, che sorge nei pressi del Danubio, scampa a una gravissima avaria. Secondo la stampa locale la direzione cerca di nascondere l’accaduto e di minimizzarlo nel rapporto all’Agenzia nazionale dell’Energia Atomica.
28 giugno 2007 – Kruemmel (Germania). Scoppia un incendio nella centrale nucleare di Krummel, nel nord della Germania vicino ad Amburgo. Le fiamme raggiungono la struttura che ospita il reattore e si rende necessario fermare l’attività dell’impianto. In pochi mesi si verificano avarie anche nelle centrali di Forsmark, Ringhals e Brunsbuttel.
Secondo il rapporto 2006 del ministero federale dell'Ambiente, l'impianto di Kruemmel è il più soggetto a piccoli incidenti tra le 17 centrali. Stando ai piani di uscita dal nucleare, fissati in una legge del 2002, il reattore dovrebbe essere spento al più tardi nel 2015.
16 luglio 2007 – Kashiwazaki (Giappone). La centrale nucleare di Kashiwazaki-Kariwa, la più grande del mondo che fornisce elettricità a 20 milioni di abitanti, viene chiusa in seguito ai danneggiamenti provocati dal terremoto. L’Agenzia di controllo delle attività nucleari giapponesi ammette una serie di fughe radioattive dall’impianto, ma precisa che si tratta di iodio fuoriuscito dal una valvola di scarico. Il direttore generale dell’AIEA, Mohammed El Baradei, dice che il sisma: "è stato più forte di quello per cui la centrale era stata progettata". Il terremoto provoca un grosso incendio in un trasformatore elettrico, la fuoriuscita di 1.200 litri di acqua radioattiva che si riversano nel Mar del Giappone e una cinquantina di altri incidenti. Si teme che la faglia sismica attiva passi proprio sotto la centrale. Ma il pericolo per la salute dell’uomo e per l’ambiente legato alla radioattività non è solo da imputare agli incidenti: non dobbiamo dimenticare infatti che tra il 1945 e il 1991 sono state effettuate 2.024 esplosioni sperimentali34, la maggior parte delle quali segrete. In tutti questi casi i primi a essere esposti sono i militari impegnati nelle operazioni, oltre naturalmente ai civili che, a loro insaputa, sono stati raggiunti delle radiazioni. Solo in anni recenti è stato possibile valutare, almeno in parte, l’entità delle emissioni radioattive dagli impianti militari e le conseguenze sanitarie sulle popolazioni. Se i primi a testare la tecnologia nucleare sono gli Stati Uniti (negli 1950 possedevano circa 370 testate atomiche contro le 5 dei sovietici), è pur vero che negli anni seguenti alla seconda guerra mondiale tutte le potenze nucleari effettuano esperimenti volti a realizzare armi più potenti e sofisticate e che sullo scenario internazionale si affacciano, oltre agli USA e all’URSS, altre potenze dotate delle potenti armi atomiche. Di sicuro sappiamo che in Kazakistan, tra il 1949 e il 1989, vengono effettuate 459 esplosioni nucleari per una potenza complessiva equivalente a 1.100 bombe come quella di Hiroshima. Negli Stati Uniti nell’ottobre 1994 una commissione d'inchiesta rivela esperimenti nucleari effettuati dal 1944 al 1974 su 23mila pazienti utilizzati come cavie. Dalla fine della Seconda Guerra mondiale le sperimentazioni sono continue e solo nel 1963, dopo ben 528 esplosioni nell’atmosfera, Stati Uniti, URSS e Gran Bretagna firmano il trattato per la parziale messa al bando dei test. Ma intanto la radioattività si è sparsa nell’atmosfera: i soli test nel deserto del Nevada tra il 1951 e il 1963 rilasciano 12 miliardi di curie, una radioattività equivalente a 148 volte quella provocata dalla catastrofe di Cernobyl. Ma già nel 1965, dopo soli due anni dalla firma del primo accordo di non proliferazione nucleare, apparati militari statunitensi testano la pericolosità dell’atomo producendo una nube radioattiva di bassa intensità che si espande sui cieli di Los Angeles, interessando un’area abitata da 15 milioni di persone. Gli esperimenti francesi ordinati dal presidente Jacques Chirac tra il settembre del 1995 e il gennaio 1996 a Mururoa, il piccolo atollo della Polinesia francese nel Pacifico, hanno mostrato all’opinione pubblica come le sperimentazioni in campo nucleare siano proseguite fino ad anni recenti.
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giovedì 8 novembre 2007
I problemi irrisolti del nucleare a vent’anni dal referendum (1)
"Grazie alle mobilitazioni antinucleariste, iniziate nella seconda metà degli anni ’70, divenute fenomeno di massa con l’incidente di Cernobyl e sfociate nella vittoria schiacciante al referendum del 1987, l’Italia può vantarsi di essere stato il primo paese industrializzato ad uscire dal nucleare. Solo alla fine degli anni ’90, infatti, verrà seguita dalla Germania con la definizione dell’exit strategy dalla produzione di energia elettrica dall’atomo entro il 2020, e più recentemente dalla Spagna...."
Comincia così il dossier di Legambiente che ha per titolo - I problemi irrisolti del nucleare a vent’anni dal referendum .
Iniziamo con oggi la pubblicazione in questo blog di alcuni capitoli affinchè ciascuno di noi possa farsi una propria opinione in merito. Il primo:
Dall’estrazione dell’uranio al decommissioning delle centrali
La produzione di energia nucleare, così come anche la fabbricazione di armi atomiche e la loro dismissione, comporta un accumulo di materiale fissile altamente radioattivo. I processi che vanno dall’estrazione dell’uranio, alla sua trasformazione, al cosiddetto decommissioning, cioè lo smantellamento degli impianti, rappresentano tutte operazioni che implicano problemi di sicurezza poiché prevedono passaggi delicati che possono rilasciare notevoli quantità di residui radioattivi e che rappresentano l’eredità più pesante dell’utilizzo del nucleare. Soprattutto se, come spesso accade, questi materiali non sono nemmeno adeguatamente custoditi. Un primo rischio è quello che investe la salute dei lavoratori e che riguarda le stesse miniere di uranio. Può accadere che, in assenza di sistemi idonei di ventilazione, vengano inalate quantità pericolose di polveri e di radon, un gas nobile emesso dall’uranio, incolore, inodore e molto radioattivo. Sempre in fase estrattiva, si assiste già a processi di separazione dell’uranio da altri materiali e in questi casi si possono accumulare residui molto nocivi. Di solito vengono stoccati direttamente in luoghi vicini alle miniere che siano in grado di garantire standard di sicurezza adeguati e che consentano di preservare l’ambiente circostante da un contatto diretto con gli scarti. Spesso però questo aspetto è stato sottovalutato, tanto che in molti casi lo stoccaggio di materiale non presenta nemmeno gli standard minimi di protezione. Come è avvenuto per tanti anni nell’ex Unione Sovietica o negli Stati Uniti: questa negligenza ha fatto sì che, solo per le attività legate all’estrazione, l’ex Urss abbia accumulato cinque miliardi di tonnellate di scarti radioattivi con conseguente inquinamento delle aree interessate. Un altro fattore di rischio è quello legato alla trasformazione dell’uranio, elemento presente in natura sotto forma di vari isotopi: in percentuale altissima di U238 (99,3%), di U235 per lo 0,7% e di U234 in misura inferiore allo 0,01%. Allo stato naturale l’uranio non è direttamente utilizzabile per scopi nucleari, necessita quindi di una serie di trattamenti che prevedono l’aumento della concentrazione dell’isotopo 235 rispetto al più comune ma meno radioattivo 238. Questo processo, detto di arricchimento, porta contestualmente alla produzione di altri materiali fissili, tra i quali anche l’uranio impoverito, con il conseguente aumento della generazione di sostanze radioattive. In questa fase è opportuno considerare un fattore che rende difficile il controllo delle quantità di uranio arricchito e impoverito “in giro per il mondo”: entrambi vengono usati in campo civile e militare, ma non c’è una netta linea di demarcazione nel loro impiego. Ad esempio l'uranio arricchito può essere adoperato come combustibile nei reattori nucleari civili, ma anche nei reattori dei sottomarini e delle portaerei militari a propulsione nucleare. E l’uranio impoverito viene utilizzato per la schermatura dalle radiazioni (anche in campo medico), come contrappeso in applicazioni aerospaziali, per le superfici di controllo degli aerei (alettoni e piani di coda), ma è noto anche il suo uso nella fabbricazione di proiettili (con le conseguenze sanitarie che stanno emergendo dopo la guerra nel Golfo e quella nei Balcani16). Questa commistione di usi rappresenta un ulteriore elemento di criticità per il controllo e la sicurezza delle sostanze radioattive accumulate. Ciò rende evidentemente assai difficile anche per l’Aiea avere la garanzia che tutto il materiale fissile prodotto rimanga in luoghi custoditi o che venga utilizzato a soli scopi civili. Va aggiunta infine la normale attività dei reattori che porta altre notevoli quantità di rifiuti e scorie. Alcuni dati: il combustibile nucleare esaurito di un reattore “medio” da 1.000 MW elettrici corrisponde ogni anno a circa trenta tonnellate di metalli pesanti, che variano a seconda dell’arricchimento del combustibile. Mentre il solo plutonio prodotto ogni anno ammonterebbe in totale (considerando tutti i reattori attualmente in funzione) a settanta tonnellate. L’ultimo atto di questo lungo percorso è rappresentato dal cosiddetto decommissioning delle centrali nucleari una volta obsolete. Un’operazione complessa e delicata, che implica considerevoli oneri finanziari e problemi di sicurezza a causa del forte rischio di contaminazione radioattiva dell’area circostante al momento dello smantellamento del nocciolo del reattore, del contenitore in pressione e, nella fase successiva, dello stoccaggio. La procedura completa comporta, oltre alla cessazione dell’attività, anche la decontaminazione dei componenti della struttura, il risanamento del suolo e lo smaltimento dei rifiuti. La tappa finale è il ripristino del sito dove sorgeva la centrale in condizioni tali da consentirne il riutilizzo per altri fini: ciò significa arrivare a una situazione stabile dal punto di vista tecnico, sociale ed economico che tuteli al contempo i lavoratori, la popolazione e l’ambiente circostante. Il completamento di questa operazione può richiedere anche parecchi anni, in ogni caso non meno di un decennio. Non esiste un approccio unico per i processi di decommissioning, perché le politiche dei vari Paesi sono influenzate da fattori come le prospettive legate all’utilizzo dell’energia nucleare, le implicazioni sociali della disattivazione, la disponibilità di personale qualificato, le questioni finanziarie. E’ ormai riconosciuta la necessità di stabilire un budget fin dal periodo di esercizio degli impianti da destinare allo smantellamento e in tal senso sono attive linee dedicate di finanziamento: è fondamentale infatti che i costi siano calcolati in modo puntuale e che ci siano fondi sufficienti al momento opportuno. Nel calcolo complessivo spesso hanno un ruolo di primo ordine le spese per lo smaltimento dei rifiuti che sono del tutto simili a quelli che si generano durante la normale attività, pur tuttavia è opportuno riconoscere che si crea anche una grande quantità di materiale di scarto con poca concentrazione di radioattività. Appare evidente che la gestione dei residui radioattivi è un punto chiave di queste operazioni. In Germania, per esempio, si calcola che il 60% delle spese di disattivazione e smantellamento sia rappresentato proprio dalla gestione dei rifiuti, anche se i materiali considerati come residui altamente radioattivi rappresentano solo una bassa percentuale (3%) di tutto quello che deriva dalla dismissione degli impianti. Esistono poi diverse strategie legate al decommissioning. Si parla di smantellamento immediato quando le operazioni iniziano subito dopo la fine dell’attività e le attrezzature, le parti dell’impianto e dell’edificio vengono decontaminati a un livello che permette la cessazione dei controlli normativi. I rifiuti in questo caso vengono trattati e stoccati in contenitori e trasportati in siti idonei per lo smaltimento. Altro metodo è quello del safe storage che è una sorta di messa in sicurezza dell’impianto finché non si può intervenire per la decontaminazione e lo smantellamento. Solo il combustibile radioattivo viene trattato e allontanato, mentre l’impianto rimane intatto. In questo modo, mentre la struttura è in sicurezza, alcuni radionuclidi decadono e pertanto la produzione di rifiuti finale è minore. D’altronde anche l’AIEA afferma che la generazione di rifiuti radioattivi deve essere ridotta al minimo praticabile19 e questa indicazione comporta che assumano un ruolo primario le operazioni di riutilizzo e di riciclo al fine di ridurre i materiali da trattare, immagazzinare e stoccare. Un altro tipo di dismissione è l’entombment, cioè la copertura dell’impianto con una struttura in calcestruzzo sottoposta a manutenzione finché il decadimento delle sostanze radioattive non permette di terminare i controlli normativi. Ma dato che quest’ultimo metodo spesso non è applicabile, finisce che l’entombment si trasforma in un safe storage prolungato. Tutto il processo che va dall’estrazione alla produzione di uranio per le centrali atomiche fino alla dismissione degli stessi impianti, è scandito dunque dalla “generazione” di materiale radioattivo perché ogni passaggio chimico o fisico comporta la creazione di scarti. Il problema in ogni fase è dunque lo stesso: la loro sistemazione in luoghi protetti che ne impediscano da un lato la contaminazione del territorio circostante e dall’altro il furto da parte di organizzazioni per l’utilizzo a scopi bellici o terroristici.
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Comincia così il dossier di Legambiente che ha per titolo - I problemi irrisolti del nucleare a vent’anni dal referendum .
Iniziamo con oggi la pubblicazione in questo blog di alcuni capitoli affinchè ciascuno di noi possa farsi una propria opinione in merito. Il primo:
Dall’estrazione dell’uranio al decommissioning delle centrali
La produzione di energia nucleare, così come anche la fabbricazione di armi atomiche e la loro dismissione, comporta un accumulo di materiale fissile altamente radioattivo. I processi che vanno dall’estrazione dell’uranio, alla sua trasformazione, al cosiddetto decommissioning, cioè lo smantellamento degli impianti, rappresentano tutte operazioni che implicano problemi di sicurezza poiché prevedono passaggi delicati che possono rilasciare notevoli quantità di residui radioattivi e che rappresentano l’eredità più pesante dell’utilizzo del nucleare. Soprattutto se, come spesso accade, questi materiali non sono nemmeno adeguatamente custoditi. Un primo rischio è quello che investe la salute dei lavoratori e che riguarda le stesse miniere di uranio. Può accadere che, in assenza di sistemi idonei di ventilazione, vengano inalate quantità pericolose di polveri e di radon, un gas nobile emesso dall’uranio, incolore, inodore e molto radioattivo. Sempre in fase estrattiva, si assiste già a processi di separazione dell’uranio da altri materiali e in questi casi si possono accumulare residui molto nocivi. Di solito vengono stoccati direttamente in luoghi vicini alle miniere che siano in grado di garantire standard di sicurezza adeguati e che consentano di preservare l’ambiente circostante da un contatto diretto con gli scarti. Spesso però questo aspetto è stato sottovalutato, tanto che in molti casi lo stoccaggio di materiale non presenta nemmeno gli standard minimi di protezione. Come è avvenuto per tanti anni nell’ex Unione Sovietica o negli Stati Uniti: questa negligenza ha fatto sì che, solo per le attività legate all’estrazione, l’ex Urss abbia accumulato cinque miliardi di tonnellate di scarti radioattivi con conseguente inquinamento delle aree interessate. Un altro fattore di rischio è quello legato alla trasformazione dell’uranio, elemento presente in natura sotto forma di vari isotopi: in percentuale altissima di U238 (99,3%), di U235 per lo 0,7% e di U234 in misura inferiore allo 0,01%. Allo stato naturale l’uranio non è direttamente utilizzabile per scopi nucleari, necessita quindi di una serie di trattamenti che prevedono l’aumento della concentrazione dell’isotopo 235 rispetto al più comune ma meno radioattivo 238. Questo processo, detto di arricchimento, porta contestualmente alla produzione di altri materiali fissili, tra i quali anche l’uranio impoverito, con il conseguente aumento della generazione di sostanze radioattive. In questa fase è opportuno considerare un fattore che rende difficile il controllo delle quantità di uranio arricchito e impoverito “in giro per il mondo”: entrambi vengono usati in campo civile e militare, ma non c’è una netta linea di demarcazione nel loro impiego. Ad esempio l'uranio arricchito può essere adoperato come combustibile nei reattori nucleari civili, ma anche nei reattori dei sottomarini e delle portaerei militari a propulsione nucleare. E l’uranio impoverito viene utilizzato per la schermatura dalle radiazioni (anche in campo medico), come contrappeso in applicazioni aerospaziali, per le superfici di controllo degli aerei (alettoni e piani di coda), ma è noto anche il suo uso nella fabbricazione di proiettili (con le conseguenze sanitarie che stanno emergendo dopo la guerra nel Golfo e quella nei Balcani16). Questa commistione di usi rappresenta un ulteriore elemento di criticità per il controllo e la sicurezza delle sostanze radioattive accumulate. Ciò rende evidentemente assai difficile anche per l’Aiea avere la garanzia che tutto il materiale fissile prodotto rimanga in luoghi custoditi o che venga utilizzato a soli scopi civili. Va aggiunta infine la normale attività dei reattori che porta altre notevoli quantità di rifiuti e scorie. Alcuni dati: il combustibile nucleare esaurito di un reattore “medio” da 1.000 MW elettrici corrisponde ogni anno a circa trenta tonnellate di metalli pesanti, che variano a seconda dell’arricchimento del combustibile. Mentre il solo plutonio prodotto ogni anno ammonterebbe in totale (considerando tutti i reattori attualmente in funzione) a settanta tonnellate. L’ultimo atto di questo lungo percorso è rappresentato dal cosiddetto decommissioning delle centrali nucleari una volta obsolete. Un’operazione complessa e delicata, che implica considerevoli oneri finanziari e problemi di sicurezza a causa del forte rischio di contaminazione radioattiva dell’area circostante al momento dello smantellamento del nocciolo del reattore, del contenitore in pressione e, nella fase successiva, dello stoccaggio. La procedura completa comporta, oltre alla cessazione dell’attività, anche la decontaminazione dei componenti della struttura, il risanamento del suolo e lo smaltimento dei rifiuti. La tappa finale è il ripristino del sito dove sorgeva la centrale in condizioni tali da consentirne il riutilizzo per altri fini: ciò significa arrivare a una situazione stabile dal punto di vista tecnico, sociale ed economico che tuteli al contempo i lavoratori, la popolazione e l’ambiente circostante. Il completamento di questa operazione può richiedere anche parecchi anni, in ogni caso non meno di un decennio. Non esiste un approccio unico per i processi di decommissioning, perché le politiche dei vari Paesi sono influenzate da fattori come le prospettive legate all’utilizzo dell’energia nucleare, le implicazioni sociali della disattivazione, la disponibilità di personale qualificato, le questioni finanziarie. E’ ormai riconosciuta la necessità di stabilire un budget fin dal periodo di esercizio degli impianti da destinare allo smantellamento e in tal senso sono attive linee dedicate di finanziamento: è fondamentale infatti che i costi siano calcolati in modo puntuale e che ci siano fondi sufficienti al momento opportuno. Nel calcolo complessivo spesso hanno un ruolo di primo ordine le spese per lo smaltimento dei rifiuti che sono del tutto simili a quelli che si generano durante la normale attività, pur tuttavia è opportuno riconoscere che si crea anche una grande quantità di materiale di scarto con poca concentrazione di radioattività. Appare evidente che la gestione dei residui radioattivi è un punto chiave di queste operazioni. In Germania, per esempio, si calcola che il 60% delle spese di disattivazione e smantellamento sia rappresentato proprio dalla gestione dei rifiuti, anche se i materiali considerati come residui altamente radioattivi rappresentano solo una bassa percentuale (3%) di tutto quello che deriva dalla dismissione degli impianti. Esistono poi diverse strategie legate al decommissioning. Si parla di smantellamento immediato quando le operazioni iniziano subito dopo la fine dell’attività e le attrezzature, le parti dell’impianto e dell’edificio vengono decontaminati a un livello che permette la cessazione dei controlli normativi. I rifiuti in questo caso vengono trattati e stoccati in contenitori e trasportati in siti idonei per lo smaltimento. Altro metodo è quello del safe storage che è una sorta di messa in sicurezza dell’impianto finché non si può intervenire per la decontaminazione e lo smantellamento. Solo il combustibile radioattivo viene trattato e allontanato, mentre l’impianto rimane intatto. In questo modo, mentre la struttura è in sicurezza, alcuni radionuclidi decadono e pertanto la produzione di rifiuti finale è minore. D’altronde anche l’AIEA afferma che la generazione di rifiuti radioattivi deve essere ridotta al minimo praticabile19 e questa indicazione comporta che assumano un ruolo primario le operazioni di riutilizzo e di riciclo al fine di ridurre i materiali da trattare, immagazzinare e stoccare. Un altro tipo di dismissione è l’entombment, cioè la copertura dell’impianto con una struttura in calcestruzzo sottoposta a manutenzione finché il decadimento delle sostanze radioattive non permette di terminare i controlli normativi. Ma dato che quest’ultimo metodo spesso non è applicabile, finisce che l’entombment si trasforma in un safe storage prolungato. Tutto il processo che va dall’estrazione alla produzione di uranio per le centrali atomiche fino alla dismissione degli stessi impianti, è scandito dunque dalla “generazione” di materiale radioattivo perché ogni passaggio chimico o fisico comporta la creazione di scarti. Il problema in ogni fase è dunque lo stesso: la loro sistemazione in luoghi protetti che ne impediscano da un lato la contaminazione del territorio circostante e dall’altro il furto da parte di organizzazioni per l’utilizzo a scopi bellici o terroristici.
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Idrogeno: aborto spontaneo
Signori è giunto il momento di staccare la spina. Uno dei pilastri della ricerca nel campo delle applicazioni dell'idrogeno nell'automotive e in particolare quello delle fuel cell ha deciso di ritirarsi. La canadese Ballard Power Systems, la più importante compagnia produttrice di celle a combustibile, con le quali si produce energia elettrica dalla combinazione di idrogeno con ossigeno, molla i progetti di sviluppo e lascia la patata bollente alla Daimler AG e alla Ford Motor. Voci confermate. Ballard dice che il motivo è rappresentato da "i tempi lunghi nello realizzazione di prodotti in funzione della commercializzazione ed dell'alto costo di sviluppo."
Il messaggio mi sembra chiaro. Ballard si ritira. Ballard sta alle fuel cell come General Motors sta all'automotive, quindi è come se la GM dicesse di non credere nel motore a scoppio, è come se Michelin rinunciasse a produrre pneumatici.
L'idrogeno costa energia produrlo, non lo si può immagazinare e trasportare facilmente, ha una resa insufficiente utilizzato nelle fuel cell per produrre energia elettrica quindi... lasciamolo perdere e rivolgiamo la nostra attenzione a vettori energetici migliori e tecnologie più adatte: batterie.
Articolo correlato: La sciocchezza dell'idrogeno nella trazione
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Il messaggio mi sembra chiaro. Ballard si ritira. Ballard sta alle fuel cell come General Motors sta all'automotive, quindi è come se la GM dicesse di non credere nel motore a scoppio, è come se Michelin rinunciasse a produrre pneumatici.
L'idrogeno costa energia produrlo, non lo si può immagazinare e trasportare facilmente, ha una resa insufficiente utilizzato nelle fuel cell per produrre energia elettrica quindi... lasciamolo perdere e rivolgiamo la nostra attenzione a vettori energetici migliori e tecnologie più adatte: batterie.
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