Riportiamo qui di seguito un nuovo articolo di Sergio Zabot comparso su qualenergia.it sui bilanci energetici e ambientali dell’energia nucleare: perché l'intero processo del nucleare non può dirsi a basse emissioni di CO2. La difficoltà di stimare i veri costi dell'intera filiera.
L’industria nucleare e i suoi fautori in genere sostengono che l’energia nucleare è una fonte di energia sostenibile e che produce quantità trascurabili di CO2.
Intanto nessuna fonte di energia che è ricavata dalla crosta terrestre può essere considerata sostenibile, nel senso di “durevole”. Inoltre, se un gran numero di centrali fosse costruito per soddisfare la crescente domanda di elettricità, le riserve conosciute di minerale con alte concentrazioni di uranio (High-grade ores, con contenuto di uranio maggiore dello 0,1%) si esaurirebbero rapidamente, lasciando enormi riserve di minerale a bassa concentrazione (Low-grade ores con meno dello 0,1% di uranio), per la maggior parte delle quali occorrerebbe più energia per utilizzarle di quanto se ne ricaverebbe dai reattori.
La pretesa poi che l’energia nucleare non produca emissioni di CO2 può sembrare plausibile se si guarda solo al “cortile” dove è in funzione il reattore nucleare, senza considerare quindi l’intero processo, dall’estrazione del minerale fino al confinamento finale delle scorie.
In realtà, contabilizzando correttamente tutta la CO2 emessa nei vari processi di lavorazione, una centrale nucleare alimentata da minerale “High-grade” emette tra un quarto e un terzo della CO2 prodotta da un ciclo combinato a gas. Ma questa fortuna dura solo fino a quando durano i minerali ricchi di uranio. Poi il ricorso a minerali meno ricchi di uranio porterebbero all’emissione di quantità di CO2 maggiori di quella degli impianti a gas.
Sul lungo periodo quindi il nucleare non è la soluzione per ridurre le emissioni di gas climalteranti. Il costo in energia da altre fonti, prodotta principalmente da fonti fossili, per produrre energia nucleare, non è ancora riconosciuto, né pienamente contabilizzato. Ancora più preoccupante poi è il fatto che molti di questi costi energetici e ambientali si manifestano dopo che una centrale nucleare ha finito di produrre energia elettrica e, quindi, questi costi dovranno essere pagati dalle generazioni future che non hanno usufruito dell’energia prodotta con il nucleare.
Purtroppo la grande complessità del “sistema nucleare” rappresenta il maggiore ostacolo alla comprensione dei differenti aspetti delle applicazioni civili dell’energia nucleare stessa e spesso non è possibile o è negato il libero accesso a tutte le informazioni necessarie per una scelta razionale e consapevole da parte dei decisori pubblici.
Gli impianti nucleari non sono solo una tecnologia energetica. Essi rappresentano complessi interessi tecnici, economici, politici e … militari.
Tecnicamente l’energia nucleare è, fino ad ora, il sistema energetico più complesso mai progettato e realizzato. A parte la complessità tecnologica, il sistema nucleare è unico per i tempi straordinariamente lunghi che esso comporta. L’insieme delle sequenze o filiere correlate a un impianto di potenza commerciale, dall’inizio della costruzione fino alla sistemazione definitiva e sicura delle scorie, copre un periodo che può variare dai 100 ai 150 anni.
Un reattore nucleare non è un sistema a sé stante; per rendere disponibile l’energia incorporata nell’uranio, così come si trova nella crosta terrestre, sono necessari numerosi processi industriali. Questo insieme di processi, così come schematizzato nella figura (vedere in fondo all'articolo) , è chiamato appunto il sistema nucleare.
Per motivi pratici e per poter meglio analizzare gli aspetti energetici e ambientali suddividiamo il sistema nucleare in tre principali filiere:
1. la conversione del minerale di uranio in elementi utilizzabili nei reattori (Upstream o Front End);
2. la costruzione, la conduzione (operation & maintenance) e la manutenzione straordinaria del reattore;
3. la gestione delle scorie radioattive e la sistemazione in depositi geologici sicuri (Downstream o Back End).
Quest’ultima fase a sua volta comprende: la riconversione e la sistemazione del minerale di uranio scartato (il cosiddetto uranio impoverito o “depleted uranium”), lo smantellamento (decommissioning) delle centrali alla fine del loro ciclo di vita, lo stoccaggio temporaneo del combustibile, il ritrattamento e la sistemazione finale delle scorie; infine, la sistemazione delle miniere di uranio non più produttive e la sistemazione delle aree dove sorgono le centrali stesse.
Ognuna di queste attività comprende un certo numero di processi industriali. Ogni processo consuma elettricità, combustibili fossili, materiali, acqua, sostanze chimiche ed emette anidride carbonica e altri gas a effetto serra. Solo le operazioni nel reattore non producono virtualmente CO2.
Infine, ognuna di queste attività comporta il rilascio nella biosfera di radiazioni, oltre che all’utilizzo di enormi quantità di acqua e alla sottrazione per centinaia di anni di ingenti porzioni di territorio per la costruzione delle centrali, per lo stoccaggio del combustibile e per la sistemazione temporanea e poi finale di tutto il materiale irradiato.
I principali costi energetici di un rettore di potenza, fino alla fine della sua vita utile sono:
1. i costi energetici per costruire e condurre l’impianto in sé;
2. i costi energetici per estrarre il minerale dalle miniere e per raffinarlo;
3. i costi energetici per “arricchire” l’uranio e fabbricare gli elementi di combustibile;
4. i costi per la conduzione e la manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti.
Il secondo costo dipende molto dalla concentrazione di uranio nel minerale e raggiunge il limite di convenienza energetica quando il minerale diventa talmente povero che conviene bruciare direttamente il combustibile fossile invece che produrre uranio.
Infine, occorre considerare e contabilizzare i “debiti energetici” che devono essere pagati dopo che il reattore ha terminato la sua vita utile:
5. i costi energetici per condizionare gli elementi di combustibile spenti, che poi spenti non sono, tanto è vero che occorrono enormi quantità di acqua per raffreddarli ancora per decenni in apposite piscine;
6. i costi del confinamento dell’uranio impoverito “avanzato” dopo il processo di arricchimento; questo materiale, allo stato attuale, viene letteralmente “abbandonato”, a parte piccole quantità utilizzate per realizzare zavorre, corazze e … proiettili;
7. i costi per lo smantellamento degli impianti stessi, la custodia temporanea e il confinamento finale delle diverse tipologie di detriti radioattivi.
Un altro costo sempre ignorato è quello legato alla sicurezza in termini di presidii armati e scorte armate che tutti i paesi “nucleari” devono sostenere. Questi costi, che implicano l’impiego di migliaia di uomini e notevoli mezzi di trasporto e di sussistenza con tutti i conseguenti consumi di energia fossile, sono a carico degli apparati di difesa nazionali, sono contabilizzati separatamente e i dati e le informazioni non sono generalmente disponibili per indagini pubbliche.
Pagare tutti i costi della prima categoria e tutti i debiti elencati successivamente richiede la combustione di combustibili fossili che notoriamente producono CO2.
E’ quindi falso che l’energia nucleare non produce emissioni di CO2. Fino ad ora nessuno dell’enorme ammontare dei “debiti” provocati degli impianti nucleari esistenti è stato pagato. E’ anche molto difficile stimare questi costi, sia per mancanza di precedenti, sia perché molte attività sono altamente pericolose e ancora senza soluzioni certe.
Nessun grande impianto nucleare è mai stato smantellato; nessun paese ha ancora identificato un sito in cui conferire definitivamente le scorie radioattive per i prossimi secoli. I costi sociali, ambientali ed economici di queste attività si prospettano così elevati che molti ormai sostengono che è più conveniente abbandonare e isolare i reattori nucleari alla fine della loro vita utile, con tutte le loro scorie radioattive dentro, invece che smantellarli e trasferire i residui non si sa dove.
Pretendere che questi debiti non esistono, non porta da nessuna parte. Essi non sono dei semplici debiti non esigibili da ascrivere in qualche bilancio societario. Un giorno o l’altro il genere umano dovrà pagarli o pagherà le conseguenze di un ambiente avvelenato.
Altro articolo dello stesso autore qui
.
Veicoli elettrici - mobilità - tecnologie - ambiente - energia rinnovabile. L'esaurimento delle risorse e le conseguenti ripercussioni politiche ed economiche rendono necessario ridurre la dipendenza dall'importazione di prodotti petroliferi e spingere quindi verso lo sviluppo di fonti energetiche alternative. I veicoli elettrici possono utilizzare tecnologie e risorse nel modo più efficiente.
Nessun commento:
Posta un commento