Sono appena passati venti anni da quando è stata messo in funzione il primo reattore della prima centrale nucleare EPR italiana. Una data storica, indimenticabile. Il primo passo. Altre centrali, altri reattori sono entrati in funzione negli ultimi anni liberando il nostro paese dalla servitù dei produttori esteri di petrolio, quel poco che resta del petrolio di facile estaibilità.
Da quindici anni siamo svincolati anche dalla schiavitù dei produttori di uranio da quando nel 2015 è stata scoperta la prima vena uranifera sotto il Vesuvio seguita dall'ancora più ricca distesa del prezioso elemento alle pendici dell'Etna. Energia, energia a iosa. Il nostro Paese è diventato il luogo più appetibile per gli investitori esteri i quali accorrono per il fatto che le nostre tasse sono le più basse del continente.
Poi all'alba mi sono svegliato. La finestra col veto semi rotto della cucina rifletteva la fredda luce dell'alba sul lurido letto dove avevo dormito. Negli ultimi anni mai un sogno era stato così vivo, mai mi ero sentito così bene, tranquillo pieno di vita e speranza. Il risveglio mi ha portato alla realtà con quel senso opprimente che sempre pervade in mio animo oltre la sete inappagata che secca la gola fino alle sinapsi cerebrali. Ho rivisto il solito panorama, la grigia struttura di cemento circondata dalla rete metallica arrugginita con le garitte lugubri e vuote. Il cancello aperto anch'esso arrugginito fuori dai cardini per metà separa il nulla dal vuoto. Anime perse abitano le casermette, i bassi edifici senza infissi all'interno dell'impianto nucleare mai messo in funzione. Carretti trainati da uomini e donne magri come scheletri vanno e tornano dalle discariche dove cinquant'anni prima la cosiddetta civiltà dei consumi aveva gettato via la sua opulenza e il suo avvenire. Oggi so che è il 15 novembre del 2068, ma non so se arriverò a domani. Là fuori dalla porta di casa mi aspetta la quotidiana lotta della sopravvivenza contro i miei simili, le bande dei Takebags, Mad Sax, Bankruptist, Drillbabydrill, ecc.
L'immagine: Dalì, L'Uovo
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4 commenti:
Anche questo post è interessante e dovrebbe far riflettere, ma le persone giuste e non noi, che magari con visioni diverse, ma crediamo in una doverosa svolta.
Quello che si sente sempre più spesso a Napoli, come in altri luoghi, ma davvero poco menzionati, è essenzialmente la metafora di ciò che è stata la civiltà occidentale del dopoguerra...o meglio quella figlia del petrolio.
Ci si è abituati a consumare e sprecare l'energia, perchè ci è stata proposta a basso costo, quindi qualunque cosa ci sembrava facile.
In realtà non si tratta di un costo basso, ma elevatissimo.
E' un po' come se andassimo al ristorante ed il conto lo facciamo pagare a chi si siede dopo di noi: troppo comodo.
Ma è così. Il conto lo stiamo iniziando a pagare adesso, chi più di altri, ma i nostri figli si beccheranno la botta.
Ciò che io sostengo non è tanto che una forma di energia sia meglio dell'altra, che le auto elettriche siano un flop o altro, ma che stiamo consumando troppo. Non ce lo possiamo più permettere.
Quello che sto notando è che si sta cercando di "mutare" il modo di fare soldi, ma l'obiettivo è quello...non c'è un VERO messaggio di coscienza tale da portarci (entro qualche decennio) verso un vivere molto più parco...perchè non c'è più trippa per gatti.
Mia moglie lavora nel ramo ambientale: fa ricerca. Vi sono diversi progetti sostenibili di riciclaggio ambientale e, curiosamente, costano molto meno di soluzioni "classiche". Ebbene, questi progetti vengono scartati perchè non riescono a far girare soldi...non coinvolgono più grandi appalti e quindi vengono esclusi.
Vi sembra che questa sia una direzione sostenibile?
Riciao
Su segnalazione di mio cognato, tengo a segnale questo articolo (ed il sito in generale) che dovrebbe contribuire a schiarire un po' le idee...
http://www.ecoblog.it/post/11410/risparmio-energetico-per-adiconsum-e-meglio-delle-rinnovabili
Bellissimo!!
Potrebbe essere l'inizio di un films di fantascenza!
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