Veicoli elettrici - mobilità - tecnologie - ambiente - energia rinnovabile. L'esaurimento delle risorse e le conseguenti ripercussioni politiche ed economiche rendono necessario ridurre la dipendenza dall'importazione di prodotti petroliferi e spingere quindi verso lo sviluppo di fonti energetiche alternative. I veicoli elettrici possono utilizzare tecnologie e risorse nel modo più efficiente.


giovedì 20 settembre 2007

Luca Mercalli parla del clima

Noi, termometro del Mediterraneo

Nell'ultimo secolo la temperatura terrestre è aumentata di circa 0,7 gradi: sembra poco, ma per gli equilibri del pianeta è un valore straordinario. In Italia l'incremento è ancora maggiore, un grado tondo: non i quattro gradi in più annuciati ieri sera dei telegiornali, ma comunque sempre un valore preoccupante. Questo è il dato che emerge dalle analisi che il CNR ha effettuato sulle lunghe serie storiche di dati meteorologici che in Italia furono istituite fin dalla fine del Settecento. Perché questo aumento superiore alla media planetaria? L'ha spiegato ieri mattina a Roma alla prima conferenza nazionale sui cambiamenti climatici, Filippo Giorgi, ricercatore al centro di fisica teorica di Trieste: il Mediterraneo è un "punto caldo" nel sistema climatico terrestre, la penisola è un sensibilissimo termometro immerso una zona di contatto tra la circolazione atmosferica temperata e umida dell'oceano Atlantico e quella calda e secca del nord Africa. Basta un piccolo spostamento degli anticicloni africani e ci si ritrova con estati roventi e siccitose dalla Sicilia alle Alpi. Le conseguenze si vedono già ora: maggior rischio di incendi e desertificazione nelle regioni meridionali, minor innevamento e ritiro dei ghiacciai sulle Alpi, precipitazioni mal distribuite con episodi intensi che attivano frane e alluvioni su un territorio già fragile. Quest'estate, che al nord a molti è sembrata addirittura fresca, si chiude in realtà con 1,5 gradi oltre la media, il nono caso più caldo degli ultimi due secoli. E i ghiacciai hanno fedelmente registrato l'anomalia, con una perdita di 1,5 metri di spessore. Bastano questi pochi numeri per sintetizzare il messaggio che ieri è emerso dai lavori della conferenza: è ora di agire per mitigare e adattarsi ai cambiamenti del clima, come indicano peraltro da anni gli accordi internazionali, primo fra tutti il protocollo di Kyoto che chiede la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. E' un accordo complesso e pieno di contraddizioni, di freni e di incertezze, ma è per ora il solo strumento che l'umanità è riuscita a mettere a punto per muovere i primi passi verso la sicurezza ambientale. In questi stessi giorni, in Canada, un'assemblea del tutto simile a quella di Roma festeggia i vent'anni dell'entrata in vigore del protocollo di Montreal, l'accordo che mise al bando la produzione dei clorofluorocarburi (Cfc), gas inerti usati nelle bombolette spray e nei frigoriferi, responsabili della distruzione della fascia d'ozono stratosferico. Il "buco" che derivava da cinquant'anni di emissione ritenuta priva di rischi, fu individuato verso il 1974 e metteva a repentaglio la vita sulla terra, in quanto l'ozono agisce da filtro per la radiazione ultravioletta di tipo B, che se assorbita provoca mutazioni genetiche e il cancro della pelle sull'uomo. L'accordo, ratificato da 190 paesi, ebbe pieno successo, e oggi si prende atto che se pure il buco esiste ancora, lentamente è attesa una sua chiusura, fino a raggiungere nel 2055 le condizioni del 1980. Inoltre i Cfc provocano pure un potente effetto serra - da tremila a ottomila volte più intenso rispetto alla CO2, e il loro abbattimento per proteggere l'ozono ha indirettamente favorito il protocollo di Kyoto, con un contributo pari a otto miliardi di tonnellate di CO2 risparmiate. Il bello è che il protocollo di Montreal è costato pure relativamente poco, un paio di miliardi di euro. Dunque può essere un buon modello anche per Kyoto: perché non mettere al bando la CO2 come si è fatto con i Cfc? Troppo facile: i Cfc avevano bell'e pronti un sostituto, gli idroclorofluorocarburi (Hcfc), non dannosi per l'ozono anche se pur sempre dotati di una certa azione serra, tant'è che oggi si cerca di rimpiazzarli al loro volta. Rimpiazzare petrolio, carbone e gas non è possibile solo con una firma, significherebbe restare al freddo, al buio e a piedi dall'oggi al domani. Il nostro mondo si regge sui combustibili fossili e la loro sostituzione è un processo difficile, lento e costoso, che non ha una soluzione magica. Energie rinnovabili, efficienza energetica degli edifici e delle attività industriali, cambiamento delle abitutini di consumo, sobrietà e moderazione, soddisfacimento dei bisogni primari dei paesi in via di sviluppo sono sfide enormi e complesse. Kyoto non è Montreal, ma la lotta al buco dell'ozono offre la speranza di farcela: bisogna volerlo tutti, lasciando perdere litigi e tentennamenti: da oggi si cambia, speriamo anche in Italia.
di Luca Mercalli - La Repubblica, 13.09.2007

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