Veicoli elettrici - mobilità - tecnologie - ambiente - energia rinnovabile. L'esaurimento delle risorse e le conseguenti ripercussioni politiche ed economiche rendono necessario ridurre la dipendenza dall'importazione di prodotti petroliferi e spingere quindi verso lo sviluppo di fonti energetiche alternative. I veicoli elettrici possono utilizzare tecnologie e risorse nel modo più efficiente.


mercoledì 19 aprile 2017

Felicità rinnovabile



Riporto qui  un post che l'amico Stefano Ceccarelli ha pubblicato il 17 Aprile nel suo Blog STOP FONTI FOSSILI! La crescita è graduale, la rovina precipitosa (Seneca), a dimostrazione del fatto che quasi sempre hanno molto più valore i fatti delle parole.

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Felicità rinnovabile

Non amo particolarmente le favole, ma quando una storia ha un lieto fine bisogna raccontarla tutta. Dunque, tre settimane fa vi parlavo dell’odissea capitatami con l’attivazione del mio nuovo impianto fotovoltaico con accumulo. Tre mesi di attesa per un allaccio alla rete. Una roba snervante, ma che ora è alle nostre spalle. Poco dopo aver pubblicato il post, giunge l’agognata notizia: la connessione è fissata per il 6 aprile. L’ingegnere che mi ha assistito nella pratica si affretta a confermare l’appuntamento sul portale.

Il giorno fatidico finalmente arriva, tutti i miei impegni di lavoro possono attendere, la priorità assoluta è far partire l’impianto. Di buon mattino arrivano Marco e Francesco, gli installatori. Si inganna l’attesa con la configurazione degli ottimizzatori, dei dispositivi applicati sul retro di ogni pannello che permettono di aumentare fino al 25% il rendimento dell’impianto, in più monitorando la produzione di ogni singolo modulo, visualizzabile in tempo reale via web per mezzo di un’app. Alle 10:00 suonano al citofono, entra in cortile la Panda di e-distribuzione. Sono elettrizzato, neanche dovessi produrla io l’energia. Il tecnico compila un bel pacco di moduli e ce li fa firmare: è l’ultimo atto della burocrazia rinnovabile che fin qui ha dominato la scena. Finalmente si ripongono i documenti e si apre la cassetta degli attrezzi: il tecnico monta il contatore di produzione ed appone i sigilli, ottemperando diligentemente alle sacre scritture di legge.


È fatta: off-on, si accende la batteria, parte l’inverter. Fuori, il generoso sole di aprile fa quello che ha sempre fatto negli ultimi cinque miliardi di anni. Le celle di silicio sul tetto cominciano ad avvertire un piacevole solletico, e scaricano la corrente continua sul cavo che scende giù. Il dolce ronzio dell’inverter indica che il nutrimento che fluisce al suo interno viene assimilato e metabolizzato a dovere. Ma in quel momento in casa non ci sono né lampadine né elettrodomestici affamati, e dunque il prezioso flusso di elettroni si dirige in batteria, come testimoniato dalla spia ‘charging’ che si accende. Wow, funziona! Alle 12:30 circa la batteria è già al 100%, ormai sazia, e dunque l’inverter può inviare la produzione del campo fotovoltaico alla rete elettrica, portando un po’ di energia pulita nelle case dei vicini, o chissà dove altro. Dopo le foto di rito, Marco e Francesco possono andar via. Una eccitante felicità rinnovabile si impadronisce di me.


Non potevo però immaginare che il picco della felicità non era ancora stato raggiunto: c’era ancora bisogno di un salutare intoppo e di un’inattesa delusione per potermi beare della soddisfazione di aver ridotto l’impronta di carbonio della mia famiglia. La sera, al ritorno dal lavoro, mi fiondo a controllare l’impianto, con mia moglie che mi prende in giro preannunciando di voler piazzare un altare votivo a fianco dell’inverter. Uhm, qualcosa non quadra: è buio, la batteria è ancora al 99%, e la spia ‘discharging’ è spenta. Come è possibile? Eppure ci sono le luci accese, il frigo in funzione… Vincendo la mia indole anti-spreco, accendo un phon, poi il condizionatore. Niente, la batteria resta al 99%. Non scarica. La batteria carica ma non scarica. Ma così non serve a niente!


Tralascio i dettagli delle frenetiche consultazioni via WhatsApp con Marco. L’indomani mattina, dopo aver trasmesso ai tecnici alcuni parametri dell’impianto visualizzati sul display dell’inverter, arriva il verdetto: c’è stato un errore nei collegamenti, bisogna intervenire posando un altro cavo fra il contatore bidirezionale e l’inverter. Supplico Marco, con il quale si era ormai instaurato un dialogo che travalicava i confini di un normale rapporto installatore-cliente, di venire il prima possibile. Quando lo vedo arrivare a casa il mattino dopo, di sabato, assieme a Francesco, avrei voluto abbracciarlo. I due si mettono all’opera: mi spiega Francesco, l’elettricista, che il sensore di corrente, che ‘legge’ i flussi di corrente da e verso il contatore di scambio, era stato posizionato nel punto sbagliato, e non era quindi in grado di inviare il segnale corretto all’inverter affinché potesse ordinare alla batteria di erogare corrente alle utenze domestiche anziché dare priorità al prelievo dalla rete. Mentre parla, mi rendo conto da profano che lo schema elettrico di un impianto fotovoltaico con accumulo non è proprio una robetta banale, e tanto meno lo è nel mio caso, dove c’è un precedente impianto senza accumulo in funzione. Off-on, si spegne tutto, si posa il nuovo cavo, si riposiziona il sensore e si rieffettuano i collegamenti; facendo un po’ di violenza sull’ordine naturale delle cose, mentre il sole picchia alto si simulano le condizioni notturne lasciando spenti i due inverter. Accendo il phon, e voilà, la spia ‘discharging’ si accende: la linfa vitale concentrata nelle celle elettrochimiche al litio fluisce nei capillari di rame che conducono alle prese di corrente di casa. Ora funziona tutto a dovere! Anzi no, non ancora del tutto: mentre effettua le prove, a Francesco si accende la lampadina (stavolta non grazie ai pannelli), e abbozzando uno schema su carta capisce che, semplicemente spostando un collegamento, può fare in modo che la batteria venga caricata dall’intero campo fotovoltaico anziché solo dalla nuova sezione dell’impianto, cosa che all’inizio credevamo non fosse possibile. Il vantaggio che ne risulta non è da poco, perché così la ricarica durante il giorno sarà facilitata anche in condizioni di cielo coperto o in inverno, aumentando ancora di più la percentuale di autoconsumo.


Sono sufficienti alcune verifiche, spegnendo selettivamente l’uno o l’altro degli inverter, per capire che il nuovo schema disegnato da Francesco funziona alla perfezione. Dunque in un paio d’ore i miei amici non solo hanno risolto uno spiacevole inconveniente, ma hanno anche apportato un significativo miglioramento ai flussi dell’impianto. È stato un piacere leggere la soddisfazione negli occhi di Marco e Francesco, due veri professionisti, come è stato bello per me sapere di aver dato loro la possibilità di arricchire le abilità impiantistiche già notevoli di cui disponevano, che potranno ora essere applicate con successo a nuove installazioni.


Come mi sento ora che la favola è finita? Beh, intanto sono felice di aver portato a termine un progetto che è cominciato a balenare nella mia testa quasi un anno fa. Naturalmente, mi considero fortunato per averlo potuto fare. Al tempo stesso, mi rendo conto che felicità è una parola grossa, da usare con molta parsimonia in un mondo che sta franando sotto il peso di una sciagurata quanto autolesionista corsa all’oro che non accenna a fermarsi. Dunque sapere di aver ridotto di un po’ le mie emissioni di gas serra non è certo sufficiente a farmi sentire felice. È solo una goccia nell’oceano, lo so bene. Né tantomeno posso gioire per aver realizzato un investimento con un buon ritorno economico: nessuno può oggi dire se lo sarà, e se mi fossi limitato a valutazioni ragionieristiche quasi certamente avrei accantonato il progetto.


Sono però, questo sì, soddisfatto di aver mostrato che un futuro rinnovabile è possibile, che la democrazia energetica può sbaragliare i poteri forti delle fonti fossili, che dal basso può nascere una spinta in grado di far tremare le rendite di posizione e le oligarchie. Perché le buone pratiche sono contagiose, e la testimonianza fattiva dei singoli vale più di mille articoli e delle prolisse dissertazioni che tengono banco nei convegni fra gli addetti ai lavori.


E poi, quando arriverà il diluvio e i nuovi nati finiranno col maledire la nostra generazione, forse qualcuno dei nostri discendenti ricorderà quegli sciocchi, ingenui sognatori come me che speravano di salvare il mondo installando pannelli solari.


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1 commento:

Mauro ha detto...

Stessa storia, stesso inverter e stessa batteria!!!

Nel mio caso ci siamo accorti che il sensore (comunemente chiamato TA) era mal posizionato appena allacciato l'impianto (L'ingegnere avviatore volle fare la prova)

Nel mio caso la ditta chi mi ha fornito ed installato il sistema non sapeva che l'inverter potesse assorbire energia anche dalla rete (e dirigerla alla batteria)
Per cui anche nel mio caso è stata una piacevole scoperta vedere che veniva assorbita anche l'energia dell'impianto vecchio.
(Ad averlo saputo prima avrei potuto scegliere una batteria + grossa....)

Io però ho rimasto un problema: il caricabatteria dell'inverter ed il Power Reducer non vanno d'accordo tra loro.