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Secondo le nostre stime - sottolinea l’associazione - la metà dell’onda migratoria sarà causata da catastrofi naturali. Altri 3 milioni di persone saranno costrette ad emigrare in seguito ai progressivi cambiamenti ambientali, come l’innalzamento del livello del mare e la desertificazione. Fino ad ora sono state le guerre la principale causa delle migrazioni di massa. Oggi, il riscaldamento globale rappresenta il fattore determinante. Sono circa due anni che il numero dei profughi ambientali ha superato quello dei profughi di guerra, eppure non si riesce a dar loro assistenza in maniera adeguata, perché giuridicamente non sono riconosciuti ’rifugiati' dalla Convenzione di Ginevra. Oltre all’immediata necessità di uno status giuridico per i profughi ambientali la vera urgenza consiste nel capire che molte questioni legate all’ospitalità e all’accoglienza nei nostri Paesi devono in primo luogo essere affrontate attraverso un serio impegno collettivo nella lotta ai cambiamenti climatici. Gli effetti del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici sono già una drammatica realtà in molti paesi, che hanno pagato un prezzo alto per vittime e sfollati. In Brasile quest’anno sono state 1 milione le persone colpite dalle inondazioni con un numero di sfollati tra 400.000 e 600.000, mentre in 350 mila sono stati colpiti in Namibia dalla recente inondazione dovuta alle piogge torrenziali iniziate dal mese di gennaio scorso. Il 50% delle strade e il 63% dei raccolti è a rischio, con anche gravi danni all’economia e per la sussistenza: secondo l’Onu 544 mila persone potrebbero confrontarsi con un’insufficienza di cibo tra il 2009 e il 2010. Dati poco confortanti anche in Angola dove 160 mila persone hanno subito inondazioni, ma è un numero destinato a crescere. E ancora, in Myanmar il ciclone Nargis nel maggio 2008 ha fatto 140 mila vittime, colpendo anche altri 2-3 milioni di persone e costringendo 800 mila persone a sfollare.
Anche l’Italia ha iniziato a scontare gli effetti del riscaldamento globale in quanto area mondiale a più alta vulnerabilità in termini di perdita di zone umide e in particolare degli ecosistemi e della biodiversità marino-costierà. Legambiente stima che saranno sommersi circa 4.500 chilometri quadrati del territorio nazionale, distribuiti in prevalenza al Sud, dove si concentreranno la maggior parte delle aree che andranno incontro a una progressiva desertificazione. A maggior rischio secondo il rapporto Enea è la Sardegna con il 52% del territorio esposto al pericolo della desertificazione.
Fonte: La Stampa online
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