sabato 16 giugno 2012

Il Giappone riavvia due reattori, ma sarà fuori dal nucleare entro il 2030

Dopo e nonostante le forti resistenze da parte delle popolazioni e delle amministrazioni locali e i dubbi del governo centrale, il Primo Ministro giapponese Yoshihiko Noda ha deciso di riavviare 2 dei 54 reattori nucleari attivi prima del disastro nucleare di Fukushima dell'11 Marzo 2011e tuttora tutti fermi. Noda  ha cosi approvato il 16 giugno la ripresa della produzione dei due reattori gestiti da Kansai Electric Power Co. a Oi, nel Giappone occidentale sia sotto il ricatto delle aziende nipponiche che incalzavano il Primo Ministro ventilando l'ipotesi di portare all'estero le fabbriche sia il timore di restare senza energia elettrica con l'avvicinarsi del caldo estivo e l'intenso uso dei condizionatori.
Ma non è detto che il Giappone voglia intraprendere di nuovo la strada del nucleare. In una intervista del quotidiano Asahi Shimbun, il Primo Ministro Noda delinea quella che sarà una strategia per abbandonare l'energia atomica entro la metà del secolo. Prima del disastro nucleare di Fukushima l'energia nucleare forniva circa il 30 per cento del fabbisogno di energia elettrica  e nel 2010 la politica energetica giapponesi aveva fissato un obiettivo di oltre il 50 per cento per la produzione di energia elettrica con il nucleare entro il 2030, ma il disastro nucleare del marzo ha scombussolato le carte. Noda spera che il riavvio dei due reattori di Oi possano permettere di far riprendere la fiducia del popolo, che adesso è a brandelli (*), verso il nucleare per poter riavviare altri reattori che ancora sono fermi per ragioni di sicurezza e in attesa di nuovi regolamenti di controllo sugli stessi.

(*) Il 71 % degli intervistati per un sondaggio del quotidiano Mainichi pubblicato il 4 giugno viene contestato il riavvio dei reattori veloci a Ohi. In un altro sondaggio pubblicato 5 giugno dal Pew Research Center, il 70 per cento dei giapponesi ha detto che il Paese dovrebbe ridurre la sua dipendenza dall'energia nucleare e il 52 per cento si sono detti preoccupati che qualcuno in famiglia potrebbe essere stato esposto alle radiazioni.

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